venerdì 27 gennaio 2012

Sicilia 1979, una foto da raccontare.

Io topino Susi Piero Maurizio
Luglio 1979, in vacanza a Porticello, Sicilia; da Piero e la Ninetta ( che era incinta della Irene).
Eravamo: Io e la Susi, poi sono arrivati, Topino, lo Straniero (che è quello che ha fatto la foto sopra), Maurizio della Nide e dopo i fratelli Pecchia , Alessandro e Luca. Oltre a Piero e la Ninetta c'erano, la Ketti e la Cinzia, le figlie e Roberto del fosso , la moglie Lorenza e il figlio Raffaele, che ogni volta che voleva il gelato diceva-: "Pinzo."perchè gli veniva in mente il gelataio di San Giuliano che vendeva il gelato col carrettino e faceva il giro dei paesi. In Sicilia c'erano quell'estate 40 gradi, ma noi eravamo ragazzotti e non si sentiva niente. Son passati quasi 33 anni......
Quest'anno per lavoro sono ripassato da Porticello, per caso e allora mi è venuta voglia di fare un giro sul porto, da solo. E magia delle magie ho ritrovato ancorata, invecchiata, ma pronta all'uso, la Ricciola, la barca del cognato di Piero con la quale si andava a pescare e a fare i bagni nel blu e mi  sono un po' commosso.
saluti a tutti.


giovedì 26 gennaio 2012

6 Raccontarello della domenica. "Il cappello dello sceriffo"

Questa è la storia di Ivano Serafin. Figlio di Gigetto detto "Mondo maiale" e della Celestina.
La famiglia Serafin, brave persone, era di origine veneta. Come molte famiglie di quella regione, a causa della povertà, si erano spinte in Toscana, nel dopoguerra , in cerca di fortuna. La caratteristica dei contadini veneti era quella di essere bravi bonificatori e la Toscana li aveva accolti tutti a braccia aperte.
Ivano con la famiglia, dopo un po’ di giri, fra i piccoli poderi sul monte, era finito a Grattaulo. Io l’ho conosciuto lì.
Ci andavo a benedire le case col prete don Ilio Parenti, negli anni sessanta, al tempo delle elementari.
Dino di Canapino ci accompagnava fino ai Quattro Venti con la Topolino del prete e poi si scendeva a piedi lungo il vecchio sentiero e si "benedivano con l’acqua santa", tutte le case sparse. La tappa finiva al Casone;  il giorno dopo si faceva Ciapino, poi la via Vecchia e giù, giù fino in piano. Naturalmente i chierichetti si alternavano ogni giorno. A me è toccato almeno un paio d’anni la partenza dal Guidotti. A tutti piaceva questo giro, perché era avventuroso e ti faceva conoscere tutte le case del monte di Molina. L’impresa era arrivare con l’acqua santa a valle. Negli anni è accaduto anche, che qualcuno inciampasse e vuotasse tutto; e allora si riempiva il contenitore a una fonte, il prete riconsacrava l'acqua in "acquasanta" e  ribenediva all’impronta. Questo viaggio, cominciava alle due del pomeriggio e finiva alle otto; don Ilio cercava di arrivare a Grattaulo dalla Celestina dopo le sei di sera, perché da Mondo Maiale e dalla Celestina tutti sapevamo che si mangiava sul serio. Altro che dolcetti e frittelle, lì si mangiava alla grande: pastasciutta, pollo, patatine, vino rosso, galline sotto la tavola e feste memorabili e affettuose dei padroni casa. La  bellezza e l'affetto della gente, povera e felice, mi hanno fatto scegliere fin da piccolo da che parte stare.  Indimenticabili quei momenti.
Gente davvero semplice i Serafin. Veneti cattolicissimi, per loro la benedizione prima della Pasqua era una festa dell’anima. Per me accompagnare il prete dalla Celestina, una festa del corpo…. e  una “connessione sentimentale” con le persone ultime, rafforzata  più avanti negli anni.
Gigetto e la Celestina la domenica andavano a ballare a Ciapino, nella corte oltre la fontanella, dove un tempo c’era un circolino. -: “Mondo Maiale! Gigetto facciamo un balletto?” diceva la Celestina con cadenza veneta, invitando il marito a ballare.E questa frase è rimasta stampata nella memoria dei più vecchi come un'imprecazione unica, che bollò Gigetto appunto, col soprannome di "Mondomaiale", tuttattaccato. 
Ivano aveva un fratello, Franco, più giovane di lui. Era a lavorare in Svizzera, c'è stato per vent'anni, alla Brown-Boveri multinazionale elettromeccanica, tornava a casa tre o quattro volte l'anno.. Emigrato a "far fortuna" si diceva, come molti giovani di oggi, lo fanno dal loro paese, per venire in Italia. E solo lui sa quanto fosse umiliante fare i conti con i cartelli esposti nei bar a Zurigo o a Berna, dove "si vietava l’ingresso ai cani e agli italiani".Ha vissuto l'era xenofoba di SCWARZENBACH ma aggiunge con una punta di polemica politica, subito scusandosi,che lui ha sempre trovato gente gentile ed educata, sicuramente meglio della Lega nostrana.* Ivano invece no; "Ivano un po’ strano" stava sui monti, solo e fumava la pipa. Controllava.... Lo sceriffo o Penna erano i suoi soprannomi.
Nessuno lo vedeva mai,  ma i fine settimana, come un’apparizione scendeva da Grattaulo e veniva al cinema da Raggio. Sempre, tutti i Sabati e tutte le domeniche. Non perdeva un film. La domenica lo vedeva addirittura  tre volte, perché entrava nel cinema alle tre e usciva alla fine dell’ultimo spettacolo; mangiando qualcosa al volo che si portava da casa.
La storia del cappello dello sceriffo comincia qui, al mitico cinema Garden di Raggio a Molina.
La domenica incontravamo molto spesso Ivano allo spettacolo delle tre e parlavamo con lui, perché con noi bimbetti lo faceva volentieri, quasi fosse nostro coetaneo, nonostante avesse quasi vent’anni più di noi.
Ma la serata fatidica per il film, era sempre il Sabato quando il cinema si riempiva di tutto il paese e soprattutto della leva dei ragazzi più grandi di me. Tutti giovani dai 16 anni in poi, che io di appena di 10, guardavo con ammirazione perchè liberi di fare mille cose,  tipo mangiare i gelati che volevano, guidare motorini, giocare alle Covinelle il sabato pomeriggio e noi più piccoli sul muro della villa  a saltare di là quando ci finiva il pallone, oppure fare a secchiate la sera d'estate, che allora era una spettacolo per davvero.
Al cinema Ivano si sedeva sempre allo stesso posto, quasi in fondo e più o meno sulla stessa poltroncina. Una sua caratteristica era quella di non togliere mai il cappello. Ne portava uno dalle grandi falde, molto bello e per questo si sentiva davvero uno sceriffo, come in molti lo chiamavano. Cappello da Far West, baffetti curati, sembrava Gary Cooper di Mezzogiorno di fuoco. Sotto la giacca nascondeva una stella da sceriffo che qualcuno gli aveva regalato e che a noi bimbotti mostrava con orgoglio. Ci raccontava che lui era “lo sceriffo di monte” e che controllava tutto il territorio e noi gli davamo soddisfazione e pacche sulle spalle.
Anche i giovani più grandi avevano l’abitudine di prendere posto al cinema, nelle poltroncine in fondo alla sala. Quelli con le “dame” lo facevano per fare flanella, com’era d’uso, a quei tempi, fare al cinema, con le ragazze con cui si era “fidanzati fuori” ; quelli da soli (senza "dame") si sedevano anch’essi in fondo e il più delle volte facevano casino; rumoreggiavano in continuazione, facendo imbestialire Raggio il padrone del cinema, che accorreva subito, minacciando la ciurma rumorosa di essere “buttata fuori” dalla sala. A memoria non ricordo nessuno mai espulso, ricordo invece Raggio che appena finito il film, ritornava sereno come se niente fosse accaduto. Fra i divertimenti di questi giovinastri c’era anche quello di dare pattoni sul cappello dello sceriffo.
Ivano, non faceva mai una piega, stoico, non dava soddisfazione a nessuno,si risistemava zitto il cappello e continuava a guardare il film.
Un sabato sera, lo sceriffo prese posto come sempre nelle ultime file e come al solito alcuni guastatori si misero seduti dietro di lui. Si erano da poco spente le luci, che uno da dietro, Banda di Rigoli, sferrò un pattone gigante a mano piena sul cappello di Ivano. Alla patta, che scompose il copricapo sulla testa di Ivano, seguì però un urlo di dolore inusuale, che non era uscito dalla bocca dello sceriffo, bensì da quella  del malcapitato spattonatore, che fece girare tutti gli spettatori in sala.
Il cappello si era attaccato alla mano galeotta del giovane.Attaccato, così lo ricorda ancora, Alessandro Di Bugno detto Banda.
Lo sceriffo aveva inserito tantissime puntine acuminate (“le cimice" d'una volta, quelle grosse di ferro, non quelle di ora con la testina colorata che un reggono nulla) sul cappello, in modo che chiunque ci avesse colpito sopra si sarebbe sicuramente ferito.
Agli occhi di tutti, quest’uomo mite e stranito, per quella pensata arguta, divenne un ganzo.
In seguito molti, prima della proiezione, lo avvicinavano per salutarlo e per vedere "il cappello armato".
Perché lo sceriffo non l’aveva smontato e continuava a portarlo con fierezza.
Ivano Serafin detto anche Penna, aveva agito con astuzia, senza essere violento; del resto “uno Sceriffo difende e si difende, mai offende.”
Oggi Ivano vive in fondo borgo col fratello Franco.
Speriamo faccia sogni bellissimi.

* P.S.
Dopo che ho scritto questo raccontarello , ho ricevuto un bellissimo post da Franco Serafin, il fratello di Ivano; Sarò sincero e vi dico che mi sono commosso. Le notizie del suo lavoro in Svizzera me le ha fornite lui, a me avevano dato informazioni sbagliate e mi scuso.
A Franco, che ogni tanto incontro al bar da Luca e Carletto  a Molina mentre si gode una birra, va il mio ringraziamento e l'augurio di un sereno futuro.
Gabriele Santoni

martedì 10 gennaio 2012

5 Raccontarello della Domenica. "Ora le mangi tutte"

Giovanni Boccacci detto Scelba, era un uomo semplice; quando ero un ragazzetto abitava sulla via dei Molini. Era figlio di Cafiero, un padre perbene che andava e tornava dal lavoro con la sua bicicletta ; vento e acqua, niente lo fermava.  Sua madre era la  Neva, che non stava troppo bene ed era la croce di Cafiero. Giovanni aveva anche due sorelle, presto spose.
Scelba faceva molti lavori, sapeva fare tante cose e cercava di arrangiarsi dignitosamente. In tanti lo ricordano,"buttafuori " al ballo di Marino. Ha anticipato il mito della sicurezza, oggi in voga nelle discoteche. Della balera di provincia, Lo Sparviero di Molina di Quosa, era "il guardiano". Rabboniva liti improvvisate, fidanzati gelosi e livornesi che negli anni sessanta invasero le nostre sale da ballo. Ma Scelba li teneva tutti d'occhio E tutti lo temevano
Aveva una forza senza regole, mitigata da una bontà assoluta.E questo per molti è stato una fortuna.
Un'altra  grande caratteristica dell'uomo era quella, primo su tutti, di arrampicarsi sugli alberi come i gatti. Lo ricordo ancora come fosse ora, montare su un platano in piazza di sopra davanti alla fattoria, per recuperare il pallone di Simone. E noi bimbetti col naso all'insù esterefatti.
Proprio quest'ultima qualità lo rese famoso per un episodio che ha fatto la storia del bar e che ancora oggi alcuni ricordano.
Ma andiamo per gradi.
Vincenzo Batistoni marito della Tripolina e babbo di Paolo e la Lucia, aveva nella Buca, sulla piana sotto casa, i ciliegi più belli del paese. Tutti noi che andavamo a lezione dalla grande maestra Miranda, la moglie di Paolo, guardavamo le ciliege con passione. Ma Vincenzo era severissimo e non tollerava che nessuno  le toccasse; poi quando meno te lo aspettavi, lo vedevi arrivare con un paniere pieno, che posava quasi con sufficienza sul  tavolo dove in gruppo facevamo lezione con Miranda e a quel punto, per gentile concessione, potevamo mangiare tutte quelle che volevamo. Ma rubargliele no.
E rubargliele era il sogno e la passione di tutti. Ciliege marchiane rosso fuoco, granite come mai e colte direttamente e furtivamente dall'albero. Perchè un conto era rubarle a Gigetto, vicino all'Ozzeri o al Bela nell'orto dietro la chiesa, ma l'impresa, quella che si raccontava erano le ciliege di Vincenzo della Tripolina.
Molti ci avevano provato, ma l'uomo vigilava con attenzione e scacciava tutti a brutto muso. La leggenda racconta che avesse con sè sempre un fucile caricato a sale, e i vecchi, al bar, ci raccontavano quanto male facessero le schioppettate col sale, che un tempo erano d'uso contro i ladri.
Ma Scelba insieme ad altri temerari, una sera di una Primavera bellissima, al calar del buio, tentò l'impresa. S'arrampico sul ciliegio più bello, come un gatto, più in alto di tutti e iniziò a ingozzarsi di ciliegione marchiane. Era dopo cena, buio strinto e l'azione sembrava andare a buon fine, senza problemi. Ma come una faina, senza farsi sentire, Vincenzo apparve all'improvviso sul poggio; la sua guardia non mollava mai. In questo era un professionista, il miglior sorvegliatore di frutta della zona. Alcuni "reduci dell'impresa" dissero di aver visto il mitico fucile caricato a sale e iniziarono a urlare per lo spavento. Chi ce la fece saltò giù e scappò; Scelba era più in alto di tutti e saltare gli fu impossibile; si acquattò allora fra le foglie zitti zitto, su in alto dove nessuno sarebbe arrivato, sperando di non essere visto; ma Vincenzo lo illuminò con una lampada, e mostrando un sorrisetto ironico, sentenziò la frase passata alla storia. "Ora le mangi tutte..... e voglio vedere i noccioli, buttali giù uno per uno".
A Scelba non rimase alternativa che mangiare e mangiare fino alla nausea, per più di un'ora.
Quando Vincenzo ritenne che potesse bastare, lo fece scendere e lo salutò senza nessuna rabbia.
A Scelba non rimase che tornarsene a casa, incredulo e .... sconfitto.
L'indomani al bar tutti erano curiosi di sapere cosa fosse successo.
Scelba raccontò l'accaduto e alla battuta- "Ti lamenti hai mangiato tante ciliege a gratis...." rispose sconsolato -"Facile ragionà così, ragazzi. Sono stato tutta la notte sul vaso (il gabinetto era fuori di casa) e  ho "caato croccanti"....."
Con gli anni, Giovanni si sposò e se ne andò da Molina. Non fece un viaggio lungo perchè finì ad Asciano. Finché un giorno è stato richiamato prima del tempo.....
Ci piace allora credere, che anche lassù dov'è,  sia potuto salire sugli alberi più alti, dove non tutti possono arrivare, a mangiare la frutta migliore.
gs
i ciliegi di Vincenzo (d'inverno)