Beppe Paolicchi, figlio di Morando, mi ha inviato questa foto bellissima di 4 Venti.
Si riconoscono Lui, Francone e Luciano del Guidotti e il Fava.
La foto l'ha scattata la mitica Costanza.
Una bella olandese che Beppe aveva chiappato a Torre del Lago e poi aveva portato a Molina, sfidando la curiosità di tutti. Soprattutto del Fava, che accampando parentele,( si chiamava di cognome Roventini come la Maria mamma di Beppe), pretese di conoscerla e di vederla da vicino. La ragazza nordica, bella e libera di testa, si prestò con divertimento alle escursioni dei paesani, consentendo a Beppe di fare un figurone, visto che aveva chiappato una bella nordica.
Beppe ha poi sposato Costanza, che non ha più fatto ritorno in Olanda.
Una di queste sere, sono stato a una cena di solidarietà per i bambini dell'India a Perignano,
da don Zappolini, e chi ha incontrato? Beppe e Costanza...
Eccoli:
giovedì 31 maggio 2012
sabato 26 maggio 2012
venerdì 25 maggio 2012
Raccontarello della domenica: Dondo
Questa storia è vera e magica; per la sua unicità, un pezzo di memoria locale unico e raro.
Certa nell'essenza, aiutata delle fantasie nei contorni, che appaiono sfumati.
Quante volte, di fronte ad una scelta che appare un azzardo, abbiamo esclamato la frase-"O la va, o la spacca!" Chi non l'ha detta, chi non l'ha sentita dire.
Qualche raffinato dicitore ci ha trasmesso anche quest'altro modo di dire-" O a Napoli in carrozza o alla macchia a far carbone!"per esempio.
Accostando la Napoli bellissima, metà di tappa del Gran Tour, viaggio simbolo di una nobiltà ricca e scansonata che nei secoli scorsi viaggiava nell'Europa continentale per mesi, appaiandola e contrapponendola alle carbonaie, luoghi lavoro povero e di stento che non erano certo l'ambizione di nessuno, semmai una condanna.
Queste espressioni manichee, così chiare nell'indicare, che una decisione che si prende può andare male o bene, sono ormai patrimonio dell'immaginario collettivo popolare.
Per esempio, ho ancora in mente, quando a un tavolino del bar di Bruno della botteghina, un giocatore di briscola, rischiava il carico, spaccando e sperando che il suo avversario ultimo di mano non avesse il seme della briscola. Quante volte si diceva- "o la va o la spacca!"
Ma a Molina e per la verità non solo da noi, ma anche in altri paesi della valle del Serchio, le espressioni sopra descritte non sono le sole. Da noi va di moda, e un tempo era certamente l'espressione più in voga, il detto " O pipo o greppia". E proprio perchè va ancora di moda, almeno per quelli dalla mia età in sù ( sono ormai, ahimè uno che ha superato cinquant'anni da un po'), lo battezzo come un "detto nostrano puro". Una rarità e una perla unica al mondo.
Ma chiariamo bene le cose. Cosa c'entra l'organo genitale maschile, gergalmente conosciuto con una infinità di nomi ma che noi in questo caso chiamiamo pipo e la greppia, che non è altro che la mangiatoia della stalla, dove gli animali, equini o bovini che siano, consumano lauti pasti di fieno piano, piano, ruminando alcuni, digerendo più svelti altri. E se poi vogliamo estremizzare, la mangiatoia per i cristiani è anche il luogo sacro dove nacque Gesù di Nazareth:" dentro la greppia di una stalla", riscaldato dal fiato di un bovino e di un equino. Un bue e un ciuco. , appunto.
E allora dopo queste domande , è giunto il momento di addentrarci nella nostra storia.
Si racconta che Dondo, era un ragazzo un po' sciroccato. Alcuni dicono fosse figlio di pastori dei monti d'Avane, altri che abitasse in Cimitogna, sopra Pugnano con i genitori, in uno di quei poderi i cui proprietari erano i nobili Roncioni o i Dal Borgo o i Questa di Molina
Questi sono contorni sfumati che ci fanno dire, per capirsi e proseguire la storia, che Dondo "stava in monte" e come la sua famiglia era un contadino e così ci siamo capiti. Allora si usava dire "sta in monte", perchè il monte era una realtà economica e sociale unica, una comunità con un cuore solo e le stesse fantasie. Punto.
Ovviamente Dondo ovunque abitasse, come tutti i contadini sotto padrone, lavorava come un miccio nero, da mattina presto fino a sera tardi.
In particolar modo coloro che non erano troppo svegli e stavano in cima ai monti, finivano per condurre una vita piuttosto isolata.
Di sesso, anche se passavano gli anni, nemmeno a parlarne. Dondo, anche se l'avesse saputo, non sarebbe stato in grado di andare al Casino nelle città vicine, "a soddisfare le proprie voglie" come diceva il poeta. Dondo era un po' tardo e non si levava nemmeno quelle, seppur sporadiche, soddisfazioni; che altri invece, almeno una volta all'anno si permettevano. Si perdeva quindi costantemente, in meravigliosi assoli (grandi seghe), sdraiato sul fieno, a volte guardando la luna, altre volte tenendo gli occhi chiusi, immaginando chissacchì o chissacosa. Un gesto solitario e magico, rinvigorito a volte dall'uso della mano mancina, che non essendo quella buona e non andando al ritmo voluto, gli faceva credere che non fosse la sua.
Il tempo però e la voglia ingegnano anche i più stolti e Dondo aveva scoperto un modo di godere il sesso unico e speciale. Una tecnica affinata nel tempo e diventata per lui la vera passione da coltivare.
Infilava il pipo in uno dei buchi della greppia, buchi fatti appositamente per farci passare il canapo che teneva legate le bestie alla mangiatoia. Spesso sulla sera quando era l'ora di governare gli animali, oppure la mattina presto dopo la mungitura, il giovane si rinchiudeva nella stalla, infilava " lo strumento " nel buco e poi su e giù, su e giù, fino a vedere le stelline brillare come nei cartoni animati. Ma Dondo un po' cartone animato lo era ..... E quel gioco gli piaceva e lo appassionava morbosamente. Il buco della greppia era diventato la sua passione.Come il buco della serratura per i guardoni.
Una mattina, come le altre Dondo aprì gli occhi all'alba già carico di pulsioni, col cervello in acqua. Aveva passato la notte a toccarsi di destro e di sinistro, ma il buco era un'altra cosa e lui lo desiderava fortemente. Scese quindi dal letto col pipo ritto e cominciò a fare le cose di sempre, ma col pensiero dominante.
Appena riuscì a dissuadere lo sguardo sempre attento della madre, si rinchiuse nella stalla con una scusa e calatisi i pantaloni fino alle caviglie infilò l'arnese, che pareva una bestia, nel buco, forzando e sentendo anche un "frizzio" triviale. Bruciore che era il prezzo da pagare per la soddisfazione che avrebbe avuto un istante dopo quando avrebbe iniziato il "su e giù". E così fece, chiudendo gli occhi e lasciando andare la testa all'indietro, dando il via alle danze, muovendo pian piano il bacino. Mentre percorreva la strada che lo portava al gran finale, una voce familiare in lontananza lo distolse dalla trombata artigianale.-"Dondo, Dondo..... dove sei!"
Era la madre che lo cercava e che avendo guardato da tutte le parti, si avvicinava alla stalla come una minaccia.Il giovane provò immediatamente a ricomporsi e la prima cosa che fece, prima di tirare su i pantaloni, fu la mossa di sfilare il pipo dal buco; ma ahimè, l'arnese troppo ingazzurrito non volle saperne di uscire . Anzi non uscì nemmeno quando Dondo tentò con maggiore determinazione lo sforzo, cominciando a sentire pure un dolore cattivo. Più tirava, più il pipo resisteva. Più faceva "su e giù"per sfilarlo e più la bestia, che ormai non rispondeva al cervello del padrone, si ingrossava (c'è anche un detto popolare che spiega bene questa situazione, e cioè che "quando il pipo ingrossa, il cervello si spenge", mettendo in tutta evidenza il limite vero del genere maschile, ahimè)" . Intanto la voce della madre-"...dove sei Dondo, rispondi..."si avvicinava inesorabilmente .Il giovane cominciò a preoccuparsi, a sudare come un animale da soma e l'ansia prese il sopravvento. Farsi trovare in quella condizione lo matteva in crisi e lo faceva vergognare tremendamente. E allora, preso dalla fretta di trovare una soluzione immediata, andò letteranmente fuori di gabina e chiusi gli occhi, afferrò con due mani la mangiatoia e dette uno strattone fortissimo all'indietro, sibilando a denti stretti-" O pipo o greppia"; come dire appunto- "O la va o la spacca" che tradotto nel nostro caso significa- "o levo il pipo o smuro la greppia".
La storia ci racconta che la greppia restò lì. Il pipo, che se avesse avuto i denti avrebbe mangiato quel coglione del suo padrone, uscì dal buco spellato che pareva un peperone. Da quel giorno, il detto "o pipo o greppia" diventò una moda. Qualcuno dice che sia stato il dottore a raccontare in giro la storia; perchè dal dottore Dondo fu portato e a lui costretto a raccontare "la dinamica dei fatti", come direbbe il cronista onesto.
Per anni nei passaggi difficili di qualunque tipo, fosse appunto un carico giocato alla volè, oppure Geppino (il sette bello per i raffinati) levato col rischio di perdere scopa o una vite che non viene via e a tirarla troppo si può spaccare tutto, ma anche un esame tentato all'università, come si usava, senza aver studiato tutto il programma, si è sempre detto e spesso si continua a dire "o pipo o greppia", senza bisogno di dare troppe spiegazioni a chi non capisce.
Garantisce Dondo.
gs
Certa nell'essenza, aiutata delle fantasie nei contorni, che appaiono sfumati.
Quante volte, di fronte ad una scelta che appare un azzardo, abbiamo esclamato la frase-"O la va, o la spacca!" Chi non l'ha detta, chi non l'ha sentita dire.
Qualche raffinato dicitore ci ha trasmesso anche quest'altro modo di dire-" O a Napoli in carrozza o alla macchia a far carbone!"per esempio.
Accostando la Napoli bellissima, metà di tappa del Gran Tour, viaggio simbolo di una nobiltà ricca e scansonata che nei secoli scorsi viaggiava nell'Europa continentale per mesi, appaiandola e contrapponendola alle carbonaie, luoghi lavoro povero e di stento che non erano certo l'ambizione di nessuno, semmai una condanna.
Queste espressioni manichee, così chiare nell'indicare, che una decisione che si prende può andare male o bene, sono ormai patrimonio dell'immaginario collettivo popolare.
Per esempio, ho ancora in mente, quando a un tavolino del bar di Bruno della botteghina, un giocatore di briscola, rischiava il carico, spaccando e sperando che il suo avversario ultimo di mano non avesse il seme della briscola. Quante volte si diceva- "o la va o la spacca!"
Ma a Molina e per la verità non solo da noi, ma anche in altri paesi della valle del Serchio, le espressioni sopra descritte non sono le sole. Da noi va di moda, e un tempo era certamente l'espressione più in voga, il detto " O pipo o greppia". E proprio perchè va ancora di moda, almeno per quelli dalla mia età in sù ( sono ormai, ahimè uno che ha superato cinquant'anni da un po'), lo battezzo come un "detto nostrano puro". Una rarità e una perla unica al mondo.
Ma chiariamo bene le cose. Cosa c'entra l'organo genitale maschile, gergalmente conosciuto con una infinità di nomi ma che noi in questo caso chiamiamo pipo e la greppia, che non è altro che la mangiatoia della stalla, dove gli animali, equini o bovini che siano, consumano lauti pasti di fieno piano, piano, ruminando alcuni, digerendo più svelti altri. E se poi vogliamo estremizzare, la mangiatoia per i cristiani è anche il luogo sacro dove nacque Gesù di Nazareth:" dentro la greppia di una stalla", riscaldato dal fiato di un bovino e di un equino. Un bue e un ciuco. , appunto.
E allora dopo queste domande , è giunto il momento di addentrarci nella nostra storia.
Si racconta che Dondo, era un ragazzo un po' sciroccato. Alcuni dicono fosse figlio di pastori dei monti d'Avane, altri che abitasse in Cimitogna, sopra Pugnano con i genitori, in uno di quei poderi i cui proprietari erano i nobili Roncioni o i Dal Borgo o i Questa di Molina
dall'alto |
Ovviamente Dondo ovunque abitasse, come tutti i contadini sotto padrone, lavorava come un miccio nero, da mattina presto fino a sera tardi.
In particolar modo coloro che non erano troppo svegli e stavano in cima ai monti, finivano per condurre una vita piuttosto isolata.
Di sesso, anche se passavano gli anni, nemmeno a parlarne. Dondo, anche se l'avesse saputo, non sarebbe stato in grado di andare al Casino nelle città vicine, "a soddisfare le proprie voglie" come diceva il poeta. Dondo era un po' tardo e non si levava nemmeno quelle, seppur sporadiche, soddisfazioni; che altri invece, almeno una volta all'anno si permettevano. Si perdeva quindi costantemente, in meravigliosi assoli (grandi seghe), sdraiato sul fieno, a volte guardando la luna, altre volte tenendo gli occhi chiusi, immaginando chissacchì o chissacosa. Un gesto solitario e magico, rinvigorito a volte dall'uso della mano mancina, che non essendo quella buona e non andando al ritmo voluto, gli faceva credere che non fosse la sua.
Il tempo però e la voglia ingegnano anche i più stolti e Dondo aveva scoperto un modo di godere il sesso unico e speciale. Una tecnica affinata nel tempo e diventata per lui la vera passione da coltivare.
Infilava il pipo in uno dei buchi della greppia, buchi fatti appositamente per farci passare il canapo che teneva legate le bestie alla mangiatoia. Spesso sulla sera quando era l'ora di governare gli animali, oppure la mattina presto dopo la mungitura, il giovane si rinchiudeva nella stalla, infilava " lo strumento " nel buco e poi su e giù, su e giù, fino a vedere le stelline brillare come nei cartoni animati. Ma Dondo un po' cartone animato lo era ..... E quel gioco gli piaceva e lo appassionava morbosamente. Il buco della greppia era diventato la sua passione.Come il buco della serratura per i guardoni.
Una mattina, come le altre Dondo aprì gli occhi all'alba già carico di pulsioni, col cervello in acqua. Aveva passato la notte a toccarsi di destro e di sinistro, ma il buco era un'altra cosa e lui lo desiderava fortemente. Scese quindi dal letto col pipo ritto e cominciò a fare le cose di sempre, ma col pensiero dominante.
Appena riuscì a dissuadere lo sguardo sempre attento della madre, si rinchiuse nella stalla con una scusa e calatisi i pantaloni fino alle caviglie infilò l'arnese, che pareva una bestia, nel buco, forzando e sentendo anche un "frizzio" triviale. Bruciore che era il prezzo da pagare per la soddisfazione che avrebbe avuto un istante dopo quando avrebbe iniziato il "su e giù". E così fece, chiudendo gli occhi e lasciando andare la testa all'indietro, dando il via alle danze, muovendo pian piano il bacino. Mentre percorreva la strada che lo portava al gran finale, una voce familiare in lontananza lo distolse dalla trombata artigianale.-"Dondo, Dondo..... dove sei!"
Era la madre che lo cercava e che avendo guardato da tutte le parti, si avvicinava alla stalla come una minaccia.Il giovane provò immediatamente a ricomporsi e la prima cosa che fece, prima di tirare su i pantaloni, fu la mossa di sfilare il pipo dal buco; ma ahimè, l'arnese troppo ingazzurrito non volle saperne di uscire . Anzi non uscì nemmeno quando Dondo tentò con maggiore determinazione lo sforzo, cominciando a sentire pure un dolore cattivo. Più tirava, più il pipo resisteva. Più faceva "su e giù"per sfilarlo e più la bestia, che ormai non rispondeva al cervello del padrone, si ingrossava (c'è anche un detto popolare che spiega bene questa situazione, e cioè che "quando il pipo ingrossa, il cervello si spenge", mettendo in tutta evidenza il limite vero del genere maschile, ahimè)" . Intanto la voce della madre-"...dove sei Dondo, rispondi..."si avvicinava inesorabilmente .Il giovane cominciò a preoccuparsi, a sudare come un animale da soma e l'ansia prese il sopravvento. Farsi trovare in quella condizione lo matteva in crisi e lo faceva vergognare tremendamente. E allora, preso dalla fretta di trovare una soluzione immediata, andò letteranmente fuori di gabina e chiusi gli occhi, afferrò con due mani la mangiatoia e dette uno strattone fortissimo all'indietro, sibilando a denti stretti-" O pipo o greppia"; come dire appunto- "O la va o la spacca" che tradotto nel nostro caso significa- "o levo il pipo o smuro la greppia".
La storia ci racconta che la greppia restò lì. Il pipo, che se avesse avuto i denti avrebbe mangiato quel coglione del suo padrone, uscì dal buco spellato che pareva un peperone. Da quel giorno, il detto "o pipo o greppia" diventò una moda. Qualcuno dice che sia stato il dottore a raccontare in giro la storia; perchè dal dottore Dondo fu portato e a lui costretto a raccontare "la dinamica dei fatti", come direbbe il cronista onesto.
Per anni nei passaggi difficili di qualunque tipo, fosse appunto un carico giocato alla volè, oppure Geppino (il sette bello per i raffinati) levato col rischio di perdere scopa o una vite che non viene via e a tirarla troppo si può spaccare tutto, ma anche un esame tentato all'università, come si usava, senza aver studiato tutto il programma, si è sempre detto e spesso si continua a dire "o pipo o greppia", senza bisogno di dare troppe spiegazioni a chi non capisce.
Garantisce Dondo.
gs
martedì 22 maggio 2012
Buon Compleanno
Molina mon amour compie un anno.
Auguri a tutti i lettori e a quelli che leggeranno.
gs
P.S. E' in arrivo Dondo, quello di "pipo o greppia".
Auguri a tutti i lettori e a quelli che leggeranno.
gs
P.S. E' in arrivo Dondo, quello di "pipo o greppia".
venerdì 11 maggio 2012
Raccontarello della domenica: Wladimiro
Gigi Fantoni mi ha inviato un cartellino del torneo di calcio che si tenne a San Macario di Lucca. Era l'estate 1976, la Polisportiva Molinese agli albori, affrontò il suo primo e forse ultimo, torneo ufficiale di calcio. La squadra allestita era una vera e propria Armata Brancaleone, ma l'imperativo dei dirigenti di allora: Pilli, Tonfo ma anche Gigi Fantoni , era che il torneo andava fatto, per dare un segnale al paese.
Il cartellino è quello di Wladimiro. Chi non lo ricorda?
Questa storia ( vera e fantastica allo stesso tempo) me l'ha raccontata tante volte un amico di San Giuliano, Gabriele Bertini che è stato ottimo portiere; a fine carriera fu ingaggiato appunto da Wladimiro per difendere i colori della Molinese nel torneo a San Macario. E lui non l'ha mai dimenticato.
Wladimiro, a cui era stato dato l'incarico insieme ad altri di reclutare qualche giocatore esperto, setacciò tutto il comune e di giocatori, che un tempo erano stati bravi, ne trovò. Ma erano stati bravi un tempo, appunto, ora erano tutti un po' imbolsiti, con qualche chiletto in più.Avevano comunque il nome e il recente passato che li garantiva e a lui bastava. La squadra fu rinforzata, solo nel numero, da alcuni ragazzi del paese, fra cui anche io. "Bravi a scuola"... come ci disse Bruno di Brandino, .."ma boni 'na sega per il pallone!".
Wladimiro era un giovane dalle mille particolarità. Un po' selvaggio ma con un cuore grande e generoso. Cuore che purtroppo l'ha tradito troppo presto. Ha fatto mille e nessun lavoro. Giocava a pallone benissimo, un talento naturale. Oggi questi praticoni di provincia sempre d'intorno al pallone, l'avrebbero coccolato e rincalzato sotto le coperte. Allora... ciascun per sè e Dio per tutti. Il giovane fumava 40 sigarette al giorno. Chi non lo ricorda con la Stop senza filtro in bocca e diciamo la verità, in quanto ad alimentazione non è che seguisse i consigli di Cirovestita. Studi, nemmenno a parlarne.
Sposò la giovanissima Laura. La bella figlia di Caputo di Fondeto ed ha avuto figli, non ricordo quanti. Ricordo bene però il nome che mise al primogenito: Manolo. Finì per abitare lungo l'argine fra Rigoli e Pappiana. La Laura faceva la dispensiera del circolo Arci a Pappiana e lui i turni alla cartiera. Poi un bel giorno, ci lasciò.Il cuore appunto, che tradisce ogni tanto e non solo lui.
Il torneo di San Macario l'appassionò e punzonato da tutti, cercò davvero di mettere insieme una squadra decente.
Il torneo era ad eliminazione diretta. Chi perdeva andava subito a casa.
La prima partita ci mise subito di fronte una squadra fortissima, che aveva radunato molti dei migliori giocatori delle categorie locali. Allora i tornei notturni erano uno spasso e il calcio una cosa più umana; non la follia demenziale in cui è ormai caduto anche quello giovanile purtroppo. Con un po' di fortuna era possibile veder giocare ai tornei estivi, anche qualcuno giocatore famoso.
La partita ebbe inizio "in una notte calda d'estate", direbbe il poeta, e dopo pochi minuti, chissà come, andammo in vantaggio. Mezza Molina che amava il pallone e aveva seguito la squadra in territorio lucchese, esultò annunciando la sua presenza massiccia. Chi segnò non lo ricordo. Io non giocavo ma ero sulla panchina e non dimenticherò mai la piega che prese la partita. Tutti asserragliati a difendere e il Bertini, il portiere, che come lui stesso ricorda ancora - "Senza mai tenere i piedi in terra, tanti furono i voli che feci." La squadra resistette miracolosamente quasi fino alla fine. Palle in tribuna e difesa ad oltranza, Nessun tiro in porta per tutta la partita. Catenaccio non tattico alla Nereo Rocco o fantasioso alla H.H. (Helenio Herrera per gli ignoranti), ma indotto e affidato al gran culo.
Poi a pochi minuti dalla fine, fummo raggiunti. con un gol di prepotenza e subito dopo iniziarono i dolori, perchè a molti giocatori cominciarono a venire i crampi e il fiato era finito per tutti; addirittura il grande Bio (Luciano Fanelli) "avviatosi troppo pressto", aveva dovuto abbandonare il campo per un infortunio serio a un piede . Non mancava molto al novantesimo, il Pilli, Antonio Gabbriellini il vinaio, babbo di Simone,entrato nella parte del massaggiatore dopo l'infortunio accaduto al Bio, corse di nuovo in campo per soccorrere un nostro uomo che sembrava morisse da un momento all'altro. Quest'ultimo era semplicemente sdraiato in terra, probabilmente a prendere fiato. L'arbitro, inflessibile e nella parte, cacciò il vinaio indietro, malamente. Allora lui che non era abituato a farsi dare ordini, lo guardò di traverso e gli rispose-" Heil Hitler" alzando anche il braccio. E il Pilli era della generazione che i tedeschi li aveva visti davvero da bimbetto e sapeva cosa voleva dire quell'offesa. L'arbitro imbestialito, non potè che buttarlo fuori, se no sarebbe passato da bischero. Il Pilli eseguì l'ordine a testa bassa, uscendo fra i fischi dei tifosi avversari e le urla dei molinesi, ma prima con semplicità, scaricò una secchiata nel mucchio, come fossimo alle Covinelle. Roba da ridere e piangere insieme.Il clima cominciò a riscaldarsi la fatica era ormai al massimo per tutti e gli avversari più bravi tecnicamente, avevano capito che potevano chiudere la partita di lì a poco, per questo negli ultimi minuti sembrava avessero raddoppiato le forze.
A pochissimi minuti dalla fine "i nostri" avevano davvero la bocca in terra, ma eravamo comunque sull'1 a 1 e avevamo fatto la nostra maledetta figura, che nessuno avrebbe messo in conto un'ora prima. Ad un certo punto, mentre il nostro portiere tentava di fare l'ennesimo rinvio, allontanando per la millesima volta la palla dall'area piccola,Wladimiro che giocava da libero ed era stremato, lo si vedeva ad occhio, chiese palla al limite dell'area, quasi per fare lo scambio col portiere prima del rilancio. Allora, quello dello scambio al limite dell'area era un gesto classico fra libero e portiere che facevano tutti, fino alla serie A. Oggi nel calcio delle "ripartenze" e dei raddoppi di marcatura, non si può più fare. Ricevuta la palla dal portiere però, non gliela ripassò subito come da manuale, ma cincischiò, incurante delle urla del portiere stesso che lo sollecitava al veloce retropassaggio. Invece, con presunzione, si fece attaccare dal centravanti, e per ingannare l'uomo che gli veniva incontro come una furia (in pressing si dice ora), finse un dribbling improbabile abbassando la testa sul pallone quasi a fare uno scatto in avanti puntando l'avversario, poi si girò di colpo e passò il pallone al portiere, che non se l'aspettava più (il passaggio) e che preso in contropiede si vide passare la sfera accanto senza poterla afferrare... e piano piano entrare in porta.Wladimiro aveva fatto un autogol da gran bischero. Un infortunio che però può capitare anche ai migliori (e lui migliore lo era davvero) quando perdono lucidità e che quindi non può che essere giustificato. Solo il Bertini capì tutto e lo guardava stupito come a dire, "l'hai fatto apposta! perchè? dopo questa faticaccia". Senza aspettare la domanda del portiere Wladimiro gli disse:" Amico mio, ma chi ce la faceva più. Meglio una sconfitta onorevole per 2 a 1 che essere travolti ai supplementari!!!". Perchè così sarebbe stato, dato che nessuno della squadra muoveva più un muscolo.
Tutto qui: allora si perdeva, per salvare la faccia e le coronarie, non come oggi, che spesso si perde per riempire la tasca e non solo nel calcio.
Più tardi, in pizzeria fra mille risate, tutti convennero che non era la finale di Coppa dei Campioni e poi se anche lo fosse stata, una sconfitta per due a uno ci sarebbe potuta stare. Era nel conto.
A Molina come sempre ci fu materia per discutere un'estate intera.
Grande Wladimiro che ufficialmente spiegò il gesto tecnico come un infortunio che può accadere quando si è perso lucidità.
E Grazie a Luigi della Luigia il Fantoni per il cartellino con la foto bellissima.
E grazie anche a Gabriele Bertini, allora eroico portiere della serata e oggi gestore del circolo dell'Arci a San Giuliano, che mi ha ricordato più volte la storia e che io ho "rifiorettato", attingendo dalla memoria e mettendoci del mio.
sabato 5 maggio 2012
Il Fava
Ho ricevuto una bellissima foto di Piero Roventini e non sono riuscito a trattenermi. L'ho pubblicata.
Gli aneddoti sul Fava sono mille e mille ne scriveremo; ma oggi l'omaggio a Molina è la sua immagine .
Grazie a Giuseppe Paolicchi per la foto.
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