Certa nell'essenza, aiutata delle fantasie nei contorni, che appaiono sfumati.
Quante volte, di fronte ad una scelta che appare un azzardo, abbiamo esclamato la frase-"O la va, o la spacca!" Chi non l'ha detta, chi non l'ha sentita dire.
Qualche raffinato dicitore ci ha trasmesso anche quest'altro modo di dire-" O a Napoli in carrozza o alla macchia a far carbone!"per esempio.
Accostando la Napoli bellissima, metà di tappa del Gran Tour, viaggio simbolo di una nobiltà ricca e scansonata che nei secoli scorsi viaggiava nell'Europa continentale per mesi, appaiandola e contrapponendola alle carbonaie, luoghi lavoro povero e di stento che non erano certo l'ambizione di nessuno, semmai una condanna.
Queste espressioni manichee, così chiare nell'indicare, che una decisione che si prende può andare male o bene, sono ormai patrimonio dell'immaginario collettivo popolare.
Per esempio, ho ancora in mente, quando a un tavolino del bar di Bruno della botteghina, un giocatore di briscola, rischiava il carico, spaccando e sperando che il suo avversario ultimo di mano non avesse il seme della briscola. Quante volte si diceva- "o la va o la spacca!"
Ma a Molina e per la verità non solo da noi, ma anche in altri paesi della valle del Serchio, le espressioni sopra descritte non sono le sole. Da noi va di moda, e un tempo era certamente l'espressione più in voga, il detto " O pipo o greppia". E proprio perchè va ancora di moda, almeno per quelli dalla mia età in sù ( sono ormai, ahimè uno che ha superato cinquant'anni da un po'), lo battezzo come un "detto nostrano puro". Una rarità e una perla unica al mondo.
Ma chiariamo bene le cose. Cosa c'entra l'organo genitale maschile, gergalmente conosciuto con una infinità di nomi ma che noi in questo caso chiamiamo pipo e la greppia, che non è altro che la mangiatoia della stalla, dove gli animali, equini o bovini che siano, consumano lauti pasti di fieno piano, piano, ruminando alcuni, digerendo più svelti altri. E se poi vogliamo estremizzare, la mangiatoia per i cristiani è anche il luogo sacro dove nacque Gesù di Nazareth:" dentro la greppia di una stalla", riscaldato dal fiato di un bovino e di un equino. Un bue e un ciuco. , appunto.
E allora dopo queste domande , è giunto il momento di addentrarci nella nostra storia.
Si racconta che Dondo, era un ragazzo un po' sciroccato. Alcuni dicono fosse figlio di pastori dei monti d'Avane, altri che abitasse in Cimitogna, sopra Pugnano con i genitori, in uno di quei poderi i cui proprietari erano i nobili Roncioni o i Dal Borgo o i Questa di Molina
dall'alto |
Ovviamente Dondo ovunque abitasse, come tutti i contadini sotto padrone, lavorava come un miccio nero, da mattina presto fino a sera tardi.
In particolar modo coloro che non erano troppo svegli e stavano in cima ai monti, finivano per condurre una vita piuttosto isolata.
Di sesso, anche se passavano gli anni, nemmeno a parlarne. Dondo, anche se l'avesse saputo, non sarebbe stato in grado di andare al Casino nelle città vicine, "a soddisfare le proprie voglie" come diceva il poeta. Dondo era un po' tardo e non si levava nemmeno quelle, seppur sporadiche, soddisfazioni; che altri invece, almeno una volta all'anno si permettevano. Si perdeva quindi costantemente, in meravigliosi assoli (grandi seghe), sdraiato sul fieno, a volte guardando la luna, altre volte tenendo gli occhi chiusi, immaginando chissacchì o chissacosa. Un gesto solitario e magico, rinvigorito a volte dall'uso della mano mancina, che non essendo quella buona e non andando al ritmo voluto, gli faceva credere che non fosse la sua.
Il tempo però e la voglia ingegnano anche i più stolti e Dondo aveva scoperto un modo di godere il sesso unico e speciale. Una tecnica affinata nel tempo e diventata per lui la vera passione da coltivare.
Infilava il pipo in uno dei buchi della greppia, buchi fatti appositamente per farci passare il canapo che teneva legate le bestie alla mangiatoia. Spesso sulla sera quando era l'ora di governare gli animali, oppure la mattina presto dopo la mungitura, il giovane si rinchiudeva nella stalla, infilava " lo strumento " nel buco e poi su e giù, su e giù, fino a vedere le stelline brillare come nei cartoni animati. Ma Dondo un po' cartone animato lo era ..... E quel gioco gli piaceva e lo appassionava morbosamente. Il buco della greppia era diventato la sua passione.Come il buco della serratura per i guardoni.
Una mattina, come le altre Dondo aprì gli occhi all'alba già carico di pulsioni, col cervello in acqua. Aveva passato la notte a toccarsi di destro e di sinistro, ma il buco era un'altra cosa e lui lo desiderava fortemente. Scese quindi dal letto col pipo ritto e cominciò a fare le cose di sempre, ma col pensiero dominante.
Appena riuscì a dissuadere lo sguardo sempre attento della madre, si rinchiuse nella stalla con una scusa e calatisi i pantaloni fino alle caviglie infilò l'arnese, che pareva una bestia, nel buco, forzando e sentendo anche un "frizzio" triviale. Bruciore che era il prezzo da pagare per la soddisfazione che avrebbe avuto un istante dopo quando avrebbe iniziato il "su e giù". E così fece, chiudendo gli occhi e lasciando andare la testa all'indietro, dando il via alle danze, muovendo pian piano il bacino. Mentre percorreva la strada che lo portava al gran finale, una voce familiare in lontananza lo distolse dalla trombata artigianale.-"Dondo, Dondo..... dove sei!"
Era la madre che lo cercava e che avendo guardato da tutte le parti, si avvicinava alla stalla come una minaccia.Il giovane provò immediatamente a ricomporsi e la prima cosa che fece, prima di tirare su i pantaloni, fu la mossa di sfilare il pipo dal buco; ma ahimè, l'arnese troppo ingazzurrito non volle saperne di uscire . Anzi non uscì nemmeno quando Dondo tentò con maggiore determinazione lo sforzo, cominciando a sentire pure un dolore cattivo. Più tirava, più il pipo resisteva. Più faceva "su e giù"per sfilarlo e più la bestia, che ormai non rispondeva al cervello del padrone, si ingrossava (c'è anche un detto popolare che spiega bene questa situazione, e cioè che "quando il pipo ingrossa, il cervello si spenge", mettendo in tutta evidenza il limite vero del genere maschile, ahimè)" . Intanto la voce della madre-"...dove sei Dondo, rispondi..."si avvicinava inesorabilmente .Il giovane cominciò a preoccuparsi, a sudare come un animale da soma e l'ansia prese il sopravvento. Farsi trovare in quella condizione lo matteva in crisi e lo faceva vergognare tremendamente. E allora, preso dalla fretta di trovare una soluzione immediata, andò letteranmente fuori di gabina e chiusi gli occhi, afferrò con due mani la mangiatoia e dette uno strattone fortissimo all'indietro, sibilando a denti stretti-" O pipo o greppia"; come dire appunto- "O la va o la spacca" che tradotto nel nostro caso significa- "o levo il pipo o smuro la greppia".
La storia ci racconta che la greppia restò lì. Il pipo, che se avesse avuto i denti avrebbe mangiato quel coglione del suo padrone, uscì dal buco spellato che pareva un peperone. Da quel giorno, il detto "o pipo o greppia" diventò una moda. Qualcuno dice che sia stato il dottore a raccontare in giro la storia; perchè dal dottore Dondo fu portato e a lui costretto a raccontare "la dinamica dei fatti", come direbbe il cronista onesto.
Per anni nei passaggi difficili di qualunque tipo, fosse appunto un carico giocato alla volè, oppure Geppino (il sette bello per i raffinati) levato col rischio di perdere scopa o una vite che non viene via e a tirarla troppo si può spaccare tutto, ma anche un esame tentato all'università, come si usava, senza aver studiato tutto il programma, si è sempre detto e spesso si continua a dire "o pipo o greppia", senza bisogno di dare troppe spiegazioni a chi non capisce.
Garantisce Dondo.
gs
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RispondiEliminapensavo non arrivasse più... Anto
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