domenica 29 aprile 2012

Raccontarello della domenica. Il Bui e il treno delle 7e02

Sette e zero due, l'orario del treno che dalla stazione di Rigoli portava gli studenti a Pisa.
Un tempo era affollatissimo di ragazzi che fin dalla Garfagnana, raggiungevano la città.
Altri erano affezionati alla Lazzi, che arrivava a Molina alle sette e venti; orario più agevole ma costi maggiori. La Lazzi costava di più del treno.
La fermata del pullman era ed è sempre davanti al Cacchione.
L'ultimo bus degli studenti era quello delle sette e quaranta, che portava nei tempi giusti, i bimbetti alle medie a San Giuliano e raggiungeva Pisa alle otto inoltrate; era però l'ultima chance per arrivare con un ritardo contenuto. Perso quel pullman lì, meglio ritornare a letto...
Io ero fortunato, andavo a Pisa, all'andata con Lisciolino, al ritorno invece treno dell'una e quaranta.
Insieme a me partivano sulla 850 Fiat verde bottiglia, Maurizio il su' figliolo e Leandro, figlio del Sega.
Leandrino era sempre in ritardo perché, cascasse il mondo, tutte le mattine si fermava nella stanza in fondo alle scale a casa sua, a guardarsi nello specchio della sala prova, che il Sega, sarto, usava per i clienti.
Bartorelliiii... Bartorelliiii!!!.... gridava Lisciolino col finestrino abbassato e fermo sullo stop col motore acceso. Leandro arrivava, elegante come sempre e inventava la solita bugia, che non trovava i libri o altre cose che facevano tenerezza. Ma il pettine e il profumo non li perdeva mai. E Lisciolo lo brontolava e noi si rideva come matti.
Ma torniamo al treno. L'ora non era agevole, ma i figli dei ferrovieri che lo prendevano gratis non avevano che quella scelta.
Il Bui, era figlio di ferroviere, Azzolino, (pittore e poeta si fa per dire e anche giocatore di boccine) e a metà degli anni sessanta saliva di mattina presto sul treno delle sette e zero due.
Il Bui e Daniela
Fabrizio Buchignani, il Bui o la Folaga per gli amici più ristretti, frequentava a metà degli anni sessanta il ginnasio in via Benedetto Croce. Oggi è medico a Rapallo dove ormai vive da 35 anni ed è babbo di due figli ormai grandi. Rincorse allora una bella genovese, Daniela, che chiappò e non tornò più indietro. In compenso alcuni di noi, in tutti questi anni, non l'hanno mai lasciato solo.
L'episodio che racconto me l'ha precisato lui.
Il Bui raggiungeva la stazione con una bicicletta da donna verdino acqua, della Bianchi; era di sua madre, laVallì, figlia del Chiù e della Laura. Azzolino il padre, era invece figlio della Rina la verduraia.
Il Bui non è mai stato un esempio di vigoria fisica. Ne tantomeno uomo di sport.
In vita sua si era cimentato, con scarsi risultati al gioco del biliardo, ingaggiato dal suo amico Scotino e aveva perso tempo con qualche partita a dama. Si era appassionato poi alle corse.... ma dei cavalli; per cui non perdeva troppo tempo in allenamenti .
La passeggiata più lunga era percorrere il marciapiede fino al cancello della villa del dottor Bartalena. Questo breve camminare più avanti lo mise anche a posto con la coscienza, quando apprese studiando medicina che il moto portava salute. E per uno che non aveva mai fatto nulla, una camminata fino all'imbocco della Buca era più che sufficiente per smuovere il metabolismo.
Già allora, nonostante avesse 15, 16 anni, nemmeno si sognava di mattinata di fare i 50 metri, tanta era la distanza che lo separava all'inizio della discesa dalla via Nova.
Il Bui abitava con la famiglia ,(Azzolino e la Vallì continuano a starci) nella strada che da piazza di sopra va verso la Panoramica; con tre pedalate sarebbe arrivato davanti al casone dei Disperati e poi si sarebbe potuto affidare alla lunga discesa.
No, lui indolente di prima classe, usciva di casa, inforcava la bici e via in giù, subito a sinistra; presentandosi all'incrocio con la statale senza mai aver toccato i pedali. Lì si fermava e a quel punto era costretto a dare la prima vera pedalata della mattinata. A volte riusciva però anche a superare l'incrocio senza fermarsi, essendo lo stop in una posizione strategica che permetteva di vedere con un colpo d'occhio di qua e di là se veniva nessuno. Il tutto favorito in alcuni periodi dell'anno dall'oscurità che permetteva meglio di localizzare i fari delle auto in arrivo. Passare al volo permetteva di prendere l'aìre e fare un altro pezzo di strada a vento, superando abbondantemente il bar di Pasquale.
Quella mattina pioveva. Era quella pioggerellina fine-fine che ti bagna come un “pucino” in un minuto e non te ne accorgi. Il Bui fece le stesse mosse di tutte le mattine. Si bardò, impermeabile, cappello e bici; cartella a tracolla e ombrello nero, appoggiato sul manubrio come un parabrezza. Soltanto... cieco. Non vedeva davanti ma vedeva di lato e soprattutto conosceva la strada a memoria avendola percorsa decine e decine di mattine.
Non era il primo Inverno, nè la prima mattinata di pioggia a cui andava incontro.
Non c'era quindi bisogno di vedere avanti; bastava seguire filo-filo la strada, controllando a destra e a sinistra le case e i negozi e tutto si sarebbe risolto. E così pensando come sempre partì. Seguì a destra il muro e le serrande del circolo, poi verificato che non venisse nessuno di monte, ma chi poteva venire, attraversò; vide il giardinetto del Pilli, il negozio di Buino, il forno di Gaetano. Iniziò quindi il muro della villa, la fonte e a sinistra riconobbe la bottega di Gigo sull'angolo. Cominciò a macinare metri lungo il rio. Al buio vide l'entrata per l'orto e poi la porta dei vinai. Dopo sulla destra, il cancello della casa di Dolfetto e Dino e a sinistra il macello di Renato,era in cima all'ultima discesina; a destra sapeva che c'era La Botteghina, annunciata dai vasi sul muro e poi l'incrocio. Era in piazza di sotto. Pioveva e pioveva male, era buio e non si vedeva quasi niente. tutto rincarcato sotto l'ombrello, arrivato all'incrocio guardò con la coda dell'occhio a sinistra il primo platano; al buio scorse solo la sagoma e poi non vide nessun faro, né proveniente da Lucca, né da Pisa  anche se gli fu più più difficile averne la certezza; ma azzardò, come aveva fatto tante altre volte e passò tirando a diritto. Fino a quel momento non aveva dato una pedalata. Di là dalla strada prese fiato, si compiacque del gesto tecnico e piazzò la prima pedalata della mattina, mentre guardava di sfuggita la chiesa e le ombre delle donnette che andavano alla prima messa. Dette la seconda pedalata...... e patatracche!!!!!.... Sull'angolo dell'isolato, c'era lo storico magazzino di Brandino. Vendeva all'ingrosso generi alimentari. I grandi supermercati come la Coop erano di là da venire. A notte fonda un camion di zucchero aveva lasciato il rimorchio davanti al magazzino, in attesa dell'apertura alle otto.
... la seconda pedalata permise al Bui di prendere fiato e intanto controllare il marciapiede sulla destra; ma quello che non gli fu possibile è accorgersi, perché oscurato dall'ombrello, che stava andando a sbattere con forza nel rimorchio che bloccava la sua strada. Ci picchiò dentro e ci picchiò duro, con la testa, cadendo mezzo alla strada.
Il fatto diventò una storia raccontata negli anni.
Io che ho non ho mai smesso di frequentarlo,
Sardegna 2003
nemmeno dopo Genova, alla domanda:- "O Bui, ma ti facesti male?" Lui con la sua voce inconfondibile che ancora oggi lo caratterizza, rispondeva:-" Mahhhhhh!!! Mi mà su indicazione del dottore, mi fece stà tre giorni a letto."
Erano inverni freddi allora o almeno lo sembravano di più. A novembre si metteva la flanella di lana con le maniche lunghe , il gelato si mangiava solo d'estate o se ci si operava di tonsille e ci si scaldava con stufe a legna e a carbone o al massimo  col kerosene in bombole, che vendevano Gigo e Pompeo.
Gli ombrelli da uomo erano, salvo rare eccezioni un po'snob, tutti neri.
Come quello galeotto che il Bui aveva appoggiato sul manubrio della bici quella mattina.
Certo oggi, in questo mondo così “moderno”, tutto questo non sarebbe successo. Bastava avere un ombrello come quello qui sotto e questa storia non esisterebbe.

Altri tempi quei tempi, a metà degli anni sessanta; diciamo la verità bei tempi, come gli ombrelli neri di una volta, "da uomo", come diceva mia madre. Che però andavano portati sopra il capo e non davanti.

Oggi siamo evoluti e moderni o forse semplicemente solo un po' più coglioni... e soli.
gs

venerdì 27 aprile 2012

Paisà

La grande Simo di Bruno di Brandino mi manda una chicca.



PAISÀ TRA PUGNANO E MOLINA

“Viva la Rai che ci fa crescere sani” cantava Rentato Zero … E qualcosa di vero c’era, anche se la televisione italiana non non si è certo distinta per un’informazione pluralista, in passato ha avuto qualche buona idea. Come quella di trasmettere in occasione del 25 aprile quei film che hanno raccontato la liberazione dalla dittatura fascista. Uno di quelli che ho amato di più è stato Paisà di Roberto Rossellini. Un capolavoro che da bambina mi piaceva tanto per la scena girata davanti alla villa Roncioni di Pugnano. Tutte le tragedie, le lotte e le vittorie dei partigiani per me si condensavano in quei pochi minuti di film. La fantasia del cinema lasciava il posto alla realtà, incarnata in quel luogo che conoscevo bene. Da allora, sarà stata la fine degli anni Sessanta, la Rai non ha cambiato linea sull’informazione e non si ricorda più di rendere omaggio al 25 aprile, se non con qualche scipita fiction.
Simonetta
Cancello villa Roncioni Pugnano
Al film parteciparono molte comparse molinesi.

Molina di Quosa-Parigi

Nei giorni passati ho incontrato un amico che mi raccontava di aver consultato il blog su Molina.
Diceva di essersi appassionato.
Alla domanda :" Ma perchè quel titolo francese... Molina mon amour???"
Semplice, mi è bastato ricordare la frase del mio amico Tordo, quando circa trentacinque anni fa, in pieno inverno di notte, andavamo a fare le foto al paese, dall'alto a Ciapino.
E Antonio mi ripeteva tutte le volte:-"Gabriele che bellezza! Siamo la Parigi della Valdiserchio".
Ed eccoci, parigini- molinesi, sul gommone dello Straniero, mentre ci porta all'Isola d'Elba questa estate.

sabato 21 aprile 2012

Raccontarello della Domenica:Tonfo, il paparazzo.



Le due foto sopra danno inizio alla nostra storia.
Le ho scattate io il primo aprile del 2012, "alle cinque della sera" come direbbe il poeta spagnolo.
 Ho fatto questi  scatti per assicurarmi di una cosa che era naturale,  ma che volevo rivedere coi miei occhi.
La prima foto è una porta rivolta a sud; è aprile e alle cinque della sera ci batte ancora il sole, si vedono bene le ombre. La seconda delle foto è una porta rivolta a nord e alla stessa ora è in ombra. La prima guarda Rigoli, la seconda Pugnano, per capirci meglio.
La prima porta era la vecchia sezione del Pci, da Buino. La seconda è la porta dove un tempo c'era il circolo Acli.
I democristiani a Molina, che io ricordi, non hanno mai avuto una sede fisica,  un luogo con lo scudocrociato in bella vista come c'era da altre parti. Si appoggiavano alle strutture della Chiesa e al circolo Acli. Pur non avendo una sede ufficiale, avevano però in campo il "miglior politico democristiano" della zona: Vittorino Benotto. Veneto e antifascista ( ha avuto il merito di aver costruito l'altare della Romagna), legato all'Azione cattolica, ha fatto per lungo tempo il capo gruppo dell'opposizione, contro le giunte social- comuniste sangiulianesi, con una puntigliosità passata alla storia.
Solo Luvisotti, dopo di lui, ma con un altro stile e un'altra storia alle spalle, sarà suo pari nell'opporsi "ai comunisti"in consiglio comunale.
La sezione del Pci era nel "laboratorio" di calzolaio di Francesco Paolini, c'è stata per anni, fino a che non si è trasferita in borgo a metà degli anni settanta.
D'inverno prendeva il poco sole che c'era. Il Circolo Acli come già detto, era sempre in ombra. Il sole non ci batteva mai, poco anche d'Estate.
Quel giorno , Benotto, nel primo pomeriggio aspettava davanti al circolo Acli altri amici per fare una riunione. Era accompagnato da Franco Moretti, che delle Acli era il Presidente. Tutti e due democristiani, Benotto per tradizione territoriale e familiare e Franco, come molti altri, per approdo dopo la caduta del fascismo, di cui era stato un giovane istruttore di balilla.
Tutti e due aspettavano in ombra i partecipanti all'incontro, fogli sotto il braccio e collo incalzato dentro il bavero del cappotto. Parlavano e piano piano si infreddolivano sempre di più. Era una giornata d'inverno di quelle limpide e freddissime, con un sole pallido ma caldo, che colto nel primo pomeriggio, può diventare una vera goduria. Chi non si è mai soffermato con piacere  al solicchio invernale nelle giornate fredde.
Ragionavano in ombra, si muovevano e quasi incosciamente, andavamo alla ricerca di quel tepore che percepivano poco più avanti, come se li chiamasse a sè. Non si erano accorti però, che il piacere del calduccio, il sole in faccia, l'avevano trovato fermandosi davanti alla porta della sezione del Pci. Parlavano così intensamente che nemmeno avevano percepito di essersi fermati proprio davanti. Non perchè fosse chissà quale peccato, ma certo se si fossero accorti di essersi fermati proprio davanti ai comunisti, si sarebbero spostati subito. Loro che prima di essere democristiani si sentivano orgogliosamente anticomunisti, mai si sarebbero fermati davanti a quella porta e sotto l'insegna con la falce e il martello.
Li vide però il Tonfo, comunista curioso e da sempre utilizzatore di mezzi tecnologici prima di tutti; macchine fotografiche, video camere rudimentali, cineprese per proiettare film ( di tutti i tipi) e altre mille diavolerie erano all'ordine del giorno nelle mani del compagno Sfingi Vittorio detto il Tonfo.
Li vide, li balzellò e zitto zitto li "paparazzò" scattando loro una foto al volo che li ritraeva  con sopra le teste, anzichè l'aureola che forse sognavano, la nefasta falce e il martello. Davanti alla porta della sede del Pci, col sole in faccia. sembravano pagati. E subito dopo corse a stamparla la foto, che di lì a poco trovò posto al bar con sotto scritto:
-Nuovi compagni infreddoliti aspettano al solicchio, l'apertura della sezione per l'iscrizione al partito."
Tutto questo non fece piacere agli interessati ( che pare si arrabbiarono "dimorto")  quando si videro così furbescamente dileggiati dal birbantissimo Tonfo; che subito si affrettò a togliere la foto per non alimentare un sicuro incidente diplomatico e una certa partaccia personale da subire in qualche sede a porte chiuse, da qualche "ciglione" di turno del suo partito, inviato apposta. I due in questione non erano certo persone portate allo scherzo e avevano subito minacciato e fatto sapere in giro, che avrebbero   informato i vertici del Pci sangiulianese, che come si sa non erano teneri coi suoi compagni, quando "cazzeggiavano"come in quel caso.
La risata che vi seppellirà non era ancora sdoganata a sinistra e per qualcuno, ancora oggi, ridere è una gran fatica.
Ma chi vide la scena allora, la ricorda con divertimento.
E chissà dove sarà quella foto......
Forse Michela, la figlia del Tonfo la conserva da qualche parte. Ci siamo dati appuntamento per cercarla, fra le mille e mille foto fatte da suo padre.
Io non posso che ringraziare con affetto Nilo Marini il becchino, anche lui comunista della prima ora, che me l'ha raccontata sorridendo e con un po' di tenera nostalgia.....visti i tempi che passano. (punto)

P.S.
Ad una cena di solidarietà, ho incontrato Beppe Paolicchi di soprannome il Toro, figlio di Morando, che stava in fondo borgo, dove sono nato io.
che mi ha dato una versione diversa dell'accaduto; e cioè che erano  Benotto e il prete  davanti alla sezione del Pci mentre suonava la banda in piazzetta. La foto l'avrebbe scattata lui. L'idea di scrivere di compagni in attesa del tesseramento è comunque del mefistofelico Tonfo.

martedì 17 aprile 2012

Club Nerazzurro. Foto di Luigi Fantoni,


In tutti questi anni non ho mai perso di vista Gigi della Luigia.
L'ultima volta che l'ho incontrato in città, gli ho raccontato di
Molina mon amour, e lui non ha esitato un attimo a rispolverare un periodo indimenticabile inviando le foto sopra. Spettacolari. 
Ecco cosa ci scrive 

Gabriele, ti invio alcune foto fatte con "Romeo".

Nella seconda si riconosce Seghedoni (allenatore), io, Romeo e Adolfo;

nella terza oltre me ci sono Seghedoni, Romeo, Adolfo e Donati (segretario) mentre nella parte bassa a dx con la riga a nei capelli a sx il Popi;

nella quarta (siamo alle Arcate a Pugnano credo Aprile o maggio '79) ci sono io, Timpano,Barbana Luca, Romeo Leandro, il Satana, Meciani e Donati;

nell'ultima c'è parte della platea all'inaugurazione del club "The Masters" allo Sparviero e si riconoscono Lisciolino, la sorella di Antonio Moretti, il babbo di Niky,Renzo, Elenio, il Mancini, il Sodini, Lorenzo, l'Anichini figlio.

Ti ringrazio ancora per l'opportunità che mi hai dato per rivivere momenti indimenticabili.

Tanti saluti Gigi


sabato 14 aprile 2012

Bimbetti


Ho ritrovato questa foto in fondo ad un album abbandonato.
Non si vede granchè, ma non ho resistito a pubblicarla.
Eravamo bimbetti, in Piazza di Sopra.
In piedi a sinistra (purtroppo il viso non si riconosce) il Masetti (Paolo Paolicchi), poi io col pallone e Marrico. Accanto Michele Gambini  che mette una mano sulla spalla di Stefano Vangioni. Sempre in piedi mi pare di riconoscere con la maglina  a strisce orizzontali Valerio di Brunello.
In ginocchio accanto accanto al Vangioni, Roberto (Rubirto), il suo babbo era il Centurione che guidava il pulman. Poi Federico di Eugenio, Angiolino, e Simone con la maglia della Juve.Quello in mezzo a Simone e Angiolino non lo riconosco....
Ma loro due lo sanno sicuramente.
Si giocava a pallone lì.
Una porta era il cancello della villa e l'altra la porta marrone del garage della fattoria.
Di macchine ne passavano poche. Qualche bici e basta.
La Dorina bubolava perchè il sù' marito, Enzino, che faceva il panaio, lavorava di notte e il giorno doveva riposare; e noi si faceva casino. Ma non era facile giocare a pallone in silenzio.
Il pallone lo portava sempre Simone, che ogni volta che usciva di casa, diceva alla Laura-: "Mamma vado ai cinqu'...alberi." E di là dalla strada, davanti alla fattoria gli alberi erano cinque.....
Federico non c'è più.
Alcuni della foto stanno da qualche altra parte.
Altri sono ancora presenti sul campo.
La maglia della Juve è rimasta incollata addosso a Simone.....
e anche a me.
g

mercoledì 11 aprile 2012

Sassolino

Cari miei,
oggi mi ha scritto Sassolino.
Lo ricordate?
Stava nella casa davanti alle Covinelle. Si laureò in Fisica col massimo dei voti e se non ricordo male è diventato dall'interno dell'aeronautica un eccellente metereologo.

Ecco il testo carico di emozione che condivido con tutti



Carissimo Gabriele,


oggi pomeriggio, quasi per caso, ho avuto la possibilità di leggere gran parte delle testimonianze raccolte da te e dai nostri compaesani. E’ stata una grande emozione rivedere nelle foto tanti volti noti di comune conoscenza che hanno fatto parte della nostra vita e che comunque hanno contribuito a rendere felice la nostra infanzia, l’adolescenza e poi la maturità. Ai tuoi ricordi vorrei unire i bellissimi momenti vissuti giocando a pallone nelle covinelle. Scrutavo con impazienza, dal balcone di casa,  il momento in cui cominciavano ad  arrivare i primi giocatori (Massimo, il Moriani, Roberto, Vinicio …), indossavo le scarpe usate, e come un lampo mi precipitavo sul campo a fare le squadre. Il mio soprannome era sassolino perché una volta, mi videro tirare i sassi contro il cancello della villa Questa. Durante il gioco, di quando in quando, passava la guardia comunale (il famigerato Gambini) che ci costringeva a rifugiarsi dietro le siepi per sfuggire alla sicura multa. Con l’avvento della moda degli scooter i ragazzi abbandonarono progressivamente le covinelle e così anche anche questo pezzo di spensieratezza terminò.
Ho raccontato un pezzetto della mia vita che, per me, ha significato molto. Lo offro a tutti coloro che lo hanno condiviso con me.

 Caro Gabriele, grazie per le emozioni che mi hai fatto rivivere. Continuerò a leggere con grande piacere i tuoi scritti. Viva Molina!. Un abbraccio.

 Marco Del Chicca.

martedì 10 aprile 2012

Torneo di briscola

Torneo di briscola. In piazza di sopra.
Romeo gioca di mancino, così come usava le forbici quando faceva i capelli.
Il rasoio invece lo usava con la destra. Cosa che non mi sono mai spiegato.
Da notare il cinturino dell'orologio rigorosamente dei colori della Juve.
Alle sue spalle un giovanissimo Giulio Giannelli, lo Scotino.
Che anno fosse non è dato saperlo, ma mio padre aveva tutti i capelli, fate voi.
Per me siamo agli inizi degli anni sessanta.Tempi di miracolo economico, altri tempi.

martedì 3 aprile 2012