Sette e zero due, l'orario del treno che dalla stazione di Rigoli portava gli studenti a Pisa.
Un tempo era affollatissimo di ragazzi che fin dalla Garfagnana, raggiungevano la città.
Altri erano affezionati alla Lazzi, che arrivava a Molina alle sette e venti; orario più agevole ma costi maggiori. La Lazzi costava di più del treno.
La fermata del pullman era ed è sempre davanti al Cacchione.
L'ultimo bus degli studenti era quello delle sette e quaranta, che portava nei tempi giusti, i bimbetti alle medie a San Giuliano e raggiungeva Pisa alle otto inoltrate; era però l'ultima chance per arrivare con un ritardo contenuto. Perso quel pullman lì, meglio ritornare a letto...
Io ero fortunato, andavo a Pisa, all'andata con Lisciolino, al ritorno invece treno dell'una e quaranta.
Insieme a me partivano sulla 850 Fiat verde bottiglia, Maurizio il su' figliolo e Leandro, figlio del Sega.
Leandrino era sempre in ritardo perché, cascasse il mondo, tutte le mattine si fermava nella stanza in fondo alle scale a casa sua, a guardarsi nello specchio della sala prova, che il Sega, sarto, usava per i clienti.
Bartorelliiii... Bartorelliiii!!!.... gridava Lisciolino col finestrino abbassato e fermo sullo stop col motore acceso. Leandro arrivava, elegante come sempre e inventava la solita bugia, che non trovava i libri o altre cose che facevano tenerezza. Ma il pettine e il profumo non li perdeva mai. E Lisciolo lo brontolava e noi si rideva come matti.
Ma torniamo al treno. L'ora non era agevole, ma i figli dei ferrovieri che lo prendevano gratis non avevano che quella scelta.
Il Bui, era figlio di ferroviere, Azzolino, (pittore e poeta si fa per dire e anche giocatore di boccine) e a metà degli anni sessanta saliva di mattina presto sul treno delle sette e zero due.
Il Bui e Daniela |
Fabrizio Buchignani, il Bui o la Folaga per gli amici più ristretti, frequentava a metà degli anni sessanta il ginnasio in via Benedetto Croce. Oggi è medico a Rapallo dove ormai vive da 35 anni ed è babbo di due figli ormai grandi. Rincorse allora una bella genovese, Daniela, che chiappò e non tornò più indietro. In compenso alcuni di noi, in tutti questi anni, non l'hanno mai lasciato solo.
L'episodio che racconto me l'ha precisato lui.
Il Bui raggiungeva la stazione con una bicicletta da donna verdino acqua, della Bianchi; era di sua madre, laVallì, figlia del Chiù e della Laura. Azzolino il padre, era invece figlio della Rina la verduraia.
Il Bui non è mai stato un esempio di vigoria fisica. Ne tantomeno uomo di sport.
In vita sua si era cimentato, con scarsi risultati al gioco del biliardo, ingaggiato dal suo amico Scotino e aveva perso tempo con qualche partita a dama. Si era appassionato poi alle corse.... ma dei cavalli; per cui non perdeva troppo tempo in allenamenti .
La passeggiata più lunga era percorrere il marciapiede fino al cancello della villa del dottor Bartalena. Questo breve camminare più avanti lo mise anche a posto con la coscienza, quando apprese studiando medicina che il moto portava salute. E per uno che non aveva mai fatto nulla, una camminata fino all'imbocco della Buca era più che sufficiente per smuovere il metabolismo.
Già allora, nonostante avesse 15, 16 anni, nemmeno si sognava di mattinata di fare i 50 metri, tanta era la distanza che lo separava all'inizio della discesa dalla via Nova.
Il Bui abitava con la famiglia ,(Azzolino e la Vallì continuano a starci) nella strada che da piazza di sopra va verso la Panoramica; con tre pedalate sarebbe arrivato davanti al casone dei Disperati e poi si sarebbe potuto affidare alla lunga discesa.
No, lui indolente di prima classe, usciva di casa, inforcava la bici e via in giù, subito a sinistra; presentandosi all'incrocio con la statale senza mai aver toccato i pedali. Lì si fermava e a quel punto era costretto a dare la prima vera pedalata della mattinata. A volte riusciva però anche a superare l'incrocio senza fermarsi, essendo lo stop in una posizione strategica che permetteva di vedere con un colpo d'occhio di qua e di là se veniva nessuno. Il tutto favorito in alcuni periodi dell'anno dall'oscurità che permetteva meglio di localizzare i fari delle auto in arrivo. Passare al volo permetteva di prendere l'aìre e fare un altro pezzo di strada a vento, superando abbondantemente il bar di Pasquale.
Quella mattina pioveva. Era quella pioggerellina fine-fine che ti bagna come un “pucino” in un minuto e non te ne accorgi. Il Bui fece le stesse mosse di tutte le mattine. Si bardò, impermeabile, cappello e bici; cartella a tracolla e ombrello nero, appoggiato sul manubrio come un parabrezza. Soltanto... cieco. Non vedeva davanti ma vedeva di lato e soprattutto conosceva la strada a memoria avendola percorsa decine e decine di mattine.
Non era il primo Inverno, nè la prima mattinata di pioggia a cui andava incontro.
Non c'era quindi bisogno di vedere avanti; bastava seguire filo-filo la strada, controllando a destra e a sinistra le case e i negozi e tutto si sarebbe risolto. E così pensando come sempre partì. Seguì a destra il muro e le serrande del circolo, poi verificato che non venisse nessuno di monte, ma chi poteva venire, attraversò; vide il giardinetto del Pilli, il negozio di Buino, il forno di Gaetano. Iniziò quindi il muro della villa, la fonte e a sinistra riconobbe la bottega di Gigo sull'angolo. Cominciò a macinare metri lungo il rio. Al buio vide l'entrata per l'orto e poi la porta dei vinai. Dopo sulla destra, il cancello della casa di Dolfetto e Dino e a sinistra il macello di Renato,era in cima all'ultima discesina; a destra sapeva che c'era La Botteghina, annunciata dai vasi sul muro e poi l'incrocio. Era in piazza di sotto. Pioveva e pioveva male, era buio e non si vedeva quasi niente. tutto rincarcato sotto l'ombrello, arrivato all'incrocio guardò con la coda dell'occhio a sinistra il primo platano; al buio scorse solo la sagoma e poi non vide nessun faro, né proveniente da Lucca, né da Pisa anche se gli fu più più difficile averne la certezza; ma azzardò, come aveva fatto tante altre volte e passò tirando a diritto. Fino a quel momento non aveva dato una pedalata. Di là dalla strada prese fiato, si compiacque del gesto tecnico e piazzò la prima pedalata della mattina, mentre guardava di sfuggita la chiesa e le ombre delle donnette che andavano alla prima messa. Dette la seconda pedalata...... e patatracche!!!!!.... Sull'angolo dell'isolato, c'era lo storico magazzino di Brandino. Vendeva all'ingrosso generi alimentari. I grandi supermercati come la Coop erano di là da venire. A notte fonda un camion di zucchero aveva lasciato il rimorchio davanti al magazzino, in attesa dell'apertura alle otto.
... la seconda pedalata permise al Bui di prendere fiato e intanto controllare il marciapiede sulla destra; ma quello che non gli fu possibile è accorgersi, perché oscurato dall'ombrello, che stava andando a sbattere con forza nel rimorchio che bloccava la sua strada. Ci picchiò dentro e ci picchiò duro, con la testa, cadendo mezzo alla strada.
Il fatto diventò una storia raccontata negli anni.
Io che ho non ho mai smesso di frequentarlo,
Sardegna 2003 |
nemmeno dopo Genova, alla domanda:- "O Bui, ma ti facesti male?" Lui con la sua voce inconfondibile che ancora oggi lo caratterizza, rispondeva:-" Mahhhhhh!!! Mi mà su indicazione del dottore, mi fece stà tre giorni a letto."
Erano inverni freddi allora o almeno lo sembravano di più. A novembre si metteva la flanella di lana con le maniche lunghe , il gelato si mangiava solo d'estate o se ci si operava di tonsille e ci si scaldava con stufe a legna e a carbone o al massimo col kerosene in bombole, che vendevano Gigo e Pompeo.
Gli ombrelli da uomo erano, salvo rare eccezioni un po'snob, tutti neri.
Come quello galeotto che il Bui aveva appoggiato sul manubrio della bici quella mattina.
Certo oggi, in questo mondo così “moderno”, tutto questo non sarebbe successo. Bastava avere un ombrello come quello qui sotto e questa storia non esisterebbe.
Altri tempi quei tempi, a metà degli anni sessanta; diciamo la verità bei tempi, come gli ombrelli neri di una volta, "da uomo", come diceva mia madre. Che però andavano portati sopra il capo e non davanti.
Oggi siamo evoluti e moderni o forse semplicemente solo un po' più coglioni... e soli.
gs