sabato 31 marzo 2012

Il Chiopo, filosofo nostrano.

Ricordate la mitica frase
"Popolo imbechille tutto vede tutto crede"
che ogni tanto sentivamo dire ai nostri vecchi, a proposito di certi imbonitori dell'epoca.
La diceva il Chiopo.
Stava sui Ponti.
Mai filosofo vide più lontano di tutti; un profeta e noi l'avevamo in casa.
Presto la storia con la collaborazione di Pirulo e Piero.

mercoledì 28 marzo 2012

Raccontarello 14. Il maschio del conigliolo

Questo raccontarello me l'ha ricordato e raccontato Pierluigi Leoni il Pirulo e rifinito Piero Gabbriellini, della Bianca. A loro va il mio ringraziamento e un abbraccio.


Beppe di Poldo aveva un conigliolo maschio. "Bello e grosso, un fenomeno."
Tutti all'epoca allevavano coniglioli. Li tenevano nei gabbioni, nelle corti, nelle stalle vicino casa.
Ci si viveva fianco a fianco e nessuno brontolava. L'odore, il puzzo, dei coniglioli era una cosa normale, quasi come quello di petrolio che oggi lascia lo smog nelle città. Solo che quello non faceva male, al massimo faceva arricciare il naso a coloro che, giunti dalla città, trovavano difficoltà a farci l'abitudine; perchè invece "i signori" di paese, che c'erano, eccome se c'erano ( i ricchi sono sempre esistiti, magari senza Suv perchè più garbati, ma ci sono sempre stati), sapevano convivere col puzzo di conigliolo e li mangiavano anche volentieri, comprandoli da chi li allevava. Lo smog no, e' un odore cattivo, che intasa i polmoni e non aiuta nessuno a vivere bene.
I tempi cambiano ma è difficile, da un po' di tempo a questa parte, che lo facciano in meglio.
Beppe del Fosso era noto soprattutto per una caratteristica passata alla storia nel nostro paese. Era un grande "armatore", non perchè possedesse una flotta di barche in fosso, ma perchè era particolarmente dotato fuori misura. In una parola "aveva un uccello fuori dal comune" (Beppe, Beppe del fosso, l'aveava lungo, l'aveva grosso....cantavamo da ragazzi) e come si divertiva anche lui, quandi ci scherzavamo sopra al bar. Per questa caratteristica nota a tutti, lo chiamavano anche lo Zizzolo.
Stava al Fosso, appunto,


che è sempre stata e rimane una bella comunità, a mezza via tra Molina e Colognole; diciamo la verità, quelli del Fosso si sono sempre sentiti molinesi, anche se i confini darebbero a Colognole quelli di là dal ponte. Beppe lo era sicuramente un molinese doc, anche se stava di là. Al Fosso abitavano molte persone conosciute, altre ci avevano abitato e poi erano risalite verso il paese. Al tempo della nostra storia erano abitanti del fosso: Robe il pompiere, figlio di Girolamo.Galetta che con Beppe andava a caccia, Il Trolle che girava sulle teste del paese con l'aereo, Gigetto lo Scatena e tutto il parentato, Buo il ferroviere, il Salvini e il Neretti col motocarro e le legna tagliate a stufa, che aveva la rimessa nel camposantino del prete dietro le pile e molti altri, perfino la Elia, colta e folle. Di qua dal ponte Eugenio e Gigi di Buba con le famiglie. Il Pipi invece è stato, finchè non ci ha lasciati, nella casina alle sbarre, ma sempre lì, nei pressi.Una comunità appunto, che frequentava puntualmente i bar, le botteghe di Molina e tutto il resto.Una comunità che non si faceva mancare nulla. Perfino le pile sul fosso e un grande platano a fare l'ombra.

Beppe era figlio di Poldino e della Gina e aveva una sorella, la Giovanna, poi sposata a San Giovanni alla Vena con un altro Beppe. Un lungagnone simpatico che passava molte domeniche da Bruno col cognato.Poldino era anche zio della Giorgina ( avviatasi da poco), moglie di Silvano e  di Gino il Ghiozzo, che aveva il cane Raschiabricchi. E qui tutti sull'attenti.Chi non si ricorda Raschiabricchi???
Al fosso in quel periodo, accanto alla madonnina, subito dopo il ponte sulla destra, guardata la foto,


 ci stava anche Tommaso, l'Agricola. La sua famiglia veniva da Ischitella di Foggia. Aveva una sorella, Donata, che ha sposato quello degli Homo Sapiens, che vinsero a San Remo e un Fratello Mauro, che ha sposato la Maria di Beo e hanno due figlioli ormai grandi: Federico e la Federica. Loro stanno ancora al fosso, vicino a Roberto.
Tommaso era un po' scapestrato per usare un eufemismo leggero. Teneva una moglie e cinque figli:  Giuseppina la più grande con cui ho fatto un pezzetto di elementari, ora sposata a Pontasserchio, i gemelli Vincenzo e Matteo e poi Mario e Michele, tutti persi di vista. Matteo per un periodo, dopo che aveva lasciato Molina venne alle cronache perchè era un campioncino di pugilato. Abitavano tutti in due stanze. Tommaso giocava a tutto. Figura particolare, abituato a conquistarsi la vita ogni mattina, era diventato ben presto, un personaggio tipico del paese, nel bene e nel male. Suo fratello era l'opposto, lavoratore indefesso, riservato ancora oggi, pareva che non ci fosse nemmeno
Tommaso ne ha fatte di tutti i colori. Celebre è la sfida col Sodini a chi beveva più vino, un pomeriggio dall'Omone. E Mauro, suo fratello che lo portò a casa a braccia per la sbornia colossale.
Ma oltre a bere  era anche un "gabbamondo", come esistevano a quei tempi. Gran giocatore di cavalli e di tutto ciò che si poteva giocare. Anche la testa se necessario.
Un giorno sotto feste di Natale, che col Bui ed altri, partivamo per un viaggio a Parigi, lo trovammo alla stazione di Pisa. Appena vide il Bui, oggi medico a Rapallo, che Tommaso ricordava essere un giovane dilettante giocatore di corse ippiche,  esclamò la fatidica frase in pugliese- "Folighe (il Bui in paese era chiamato la Folaga) lo vuoi un cavalle.......?"-: Seeeeee!!! vado a Parigi!"- rispose il Bui.
Anche Tommaso aveva i gabbioni dei coniglioli, però non teneva il maschio e doveva impregnare le conigliole perchè era il momento.Ma Beppe il maschio ce l'aveva.Eccome se ce l'aveva.
Lo Zizzolo abitava in linea d'aria dalla casa di Tommaso, sì e no cinquanta metri.
Tommaso lo convinse  dopo una serie di tiritere a farsi prestare il maschio del conigliolo per portare a compimento l'opera:  impregnare tutte e tre le femmine; così avebbe dato da mangiare ai ragazzi, che erano tanti..... poverini , come lui diceva quasi disperato.E poi il conigliolo avrebbe fatto ritorno al suo gabbione.
Beppe era uno buono e si lasciò "accilecculire". E prestò il maschio..."Bello, grosso, un fenomeno."
Dopo qualche giorno, Tommaso si presentò al bar dell'Omone, dove andava spesso a bere, con una sportina come usavano un tempo, con  dentro il conigliolo di Beppe. -"Omone lo vuoi un conigliolo, te lo vendo? l'ho allevato io." disse Tommaso. L'Omone veniva da Lucca e non aveva mai allevato coniglioli; aveva fatto la guerra in Africa (brombillo? una lira. gulo? no ge) e poi sempre e soltanto il barrista e l'idea di mangiare un conigliolo allevato come Dio comanda, lo invogliava.
Si convinse e lo comprò.
 Tommaso disse che glielo avrebbe venduto a meno perchè era un amico e che quasi quasi gli faceva un favore. Lo pesarono su una bilancia e l'affare fu fatto.
Dell'acquisto, fu informato per caso perchè passato dal bar, Vittorio il Gabbriellini, Ridoli; essendo quest'ultimo amico di Beppe, nel trovarlo la sera mentre andava dalla suocera al fosso, con la Mariolina sua moglie, gli disse ridacchiando:- "Scusa Beppe ma te mica avevi prestato un conigliolo maschio a Tommaso?" . Beppe  insospettito e quasi rassegnato rispose:- Sì ma ormai  è passato un po' troppo tempo.....mi sa che un lo vedo più."quasi sentisse nell'aria la disfatta. Vittorio allora replicò. "Lo credo anch'io! se lo vuoi, fatti invitare a pranzo dall'Omone. mi sa che la Vienna, la su' moglie l'abbia  già cotto." Beppe imbufalito cercò Tommaso che dopo essersi giustificato, come faceva sempre quando combinava questi casini ( l'ho fatto per i bimbi) e cioè senza giustificarsi, non trovò di meglio, la notte, che riportargli la pelle, recuperata dall'Omone e attaccargliela vicino alla porta di casa.
-"Così qualcosa gli ho riportato" diceva in giro.....
 -"Cosa vòi, 'un lo posso mia denuncià.....!" replicava Beppe 
e sconsolato diceva-"Cià una famiglia numerosa..........."
Chissà dove saranno  Beppino e Tommaso.
Certo nel cuore di questo paese.......

domenica 25 marzo 2012

Raccontarello 13: Le gite Di Pompeo

Eccoli qui sopra e purtroppo un po' sfocati , Pompeo e la Licia, sua moglie a metà degli anni sessanta.
Fotografati durante una gita sul lago di Garda.
Eh sì, Pompeo, Lorenzo Barbuti, figlio di Aladino e della Irma organizzava anche gite.
Di mestiere vendeva dal prosciutto alle bombole del gas, nel negozio di alimentari, che ancora oggi resiste con Massimo suo figlio, alla fine dell'isolato dove ora c'è anche la farmacia.
Davanti a villa Annamaria.
 Ma Pompeo era un vulcano di idee e un grande organizzatore di viaggi.
A lui Alpitour "ni faceva una sega..."
Era anche un gran dormitore; una volta al bar, mentre dormiva, gli tolsero scarpe e calzini e gli tinsero i piedi col carbone, senza che lui si accorgesse di niente. Anche la Licia era una dormitrice. Alle Acli dove andava a giocare a tombola, marcava un numero ogni tre, tanto si appisolava. Erano però una coppia speciale ed eccentrica. La Licia è ancora sulla piazza, Pompeo si è avviato da un po', ma nessuno se lo scorda.
Negli anni sessanta organizzava gite appunto. Ne ricordo alcune sui Laghi, dove ho partecipato. Altre, a Napoli (ma il pulman si ruppe a Cassino) e a Venezia, dove mia madre non mi portò perchè diceva che era uno strapazzo. E come non dargli torto. Partenza rigorosa a mezzanotte del Sabato, viaggio tutta la notte, visite veloci ai monumenti e pranzo al sacco. Ritorno la domenica sera. Tutto in 24 ore. Strepitoso.
E sul pulman cori e grandi risate. E dalla mattina dopo, un racconto in paese lungo un mese e l'invidia di chi non c'era potuto essere.
"La semplicità che è difficile  a farsi" (chiedo scusa se scomodo Bertolt Brecht) , a Molina non era una regola.
Ecco una foto speciale che ho trovato di una gita di allora
Da sistra in piedi: Carlo di Gallina,Il Mancini, L'Annarella del Fava e accanto la Lucia. Poi il Moriani abbracciato all'americana, la Bani. Banda e abbracciati la Nicoletta del Salvini e Roberto di Cule.
Accosciati: Il Bui, Gigi della Luigi, Il Sangiorgi, Claudio il Bartorelli col pallone, Vittorietto della Diana e Massimo di Pompeo.


La gita di Pompeo
portava a giro tutti
e senza tiritere
faceva belli i brutti.
Bimbetti scatenati
e freschi fidanzati
signore rilassate
sul bordo dell'estate
e bimbe in minigonna
guardate dalla nonna.
Dalle alpi alla riviera
si partiva di sera,
per poi tornar sbracati
felici ed abbracciati.
Tutto in ventiquattrore
e un grande batticuore
perché da qui a lì
tornava lunedì.

mercoledì 21 marzo 2012

Raccontarello 12. Al cinema da Raggio

Ieri Oggi Domani


E un martedì sera, di Marzo, domani sarà Primavera. Torno tardi da Roma dopo un viaggio di lavoro. Mangio e mi preparo per leggere delle carte che mi serviranno per la giunta di domattina.
Adele e Giovanna sono alla televisione in un'altra stanza. Mi siedo sul divano e prima di iniziare a leggere controvoglia di trasporti pubblici, spippolo la televisione.
Trovo la partita della Juve col Milan e lì per lì mi appassiono, ma mi passa subito.Il calcio non è più lui.
E allora spippolo ancora e su un canale digitale che non ricordo, scorgo Marcello Mastroianni e mi fermo. Davanti a un monumento del cinema ci si ferma sempre. Il film è "Ieri, oggi, domani" di De Sica, 1963. Vincitore dell'Oscar quale miglior film straniero nel 1965.
L'episodio scritto da Cesare Zavattini, è quello con la Loren che fa lo spogliarello. " Il più grande spogliarello del mondo" l'ha definito un tipo su you tube, dove mi sono recato a ricercarlo alla fine, per regalarlo anche a voi.
E nel guardarlo e riguardarlo, mi è tornato alla mente il cinema di Raggio di Molina,

dove questo film ho visto la prima volta.....nel 65- 66; avevo sì e no 7-8 anni.
E udite udite,il film non era vietato ai minori..
La Sofia Loren che si spoglia e il grande Marcello, che rannicchiato su un lettuccio, ulula come un lupo impazzito.
Quella scena mi turbò e l'ho sognata tante volte. Lo dissi anche alla mia mamma, che non ci fece caso o meglio ancora, fece passare la cosa in cavalleria.
Il film lo vidi due volte quella domenica e il Lunedì ci tornai con mio padre.
Raggio replicava sempre al lunedì sera il film della domenica; per quelli che andavano a ballare o per chi la sera del dì di festa aveva altro da fare, tipo vedere la grande Domenica Sportiva con Enzo Tortora, rigorosamente alle 22e30.
Questo piccolo, meraviglioso cinema di periferia, si chiamava Garden, ma tutti dicevamo
"da Raggio"( Raggio x Raggio x 3,14; oppure Raggio di sole, che non era altro che la marca del mangiare dei canarini che usava Antonio della Nara; è infatti sua l'idea di questo secondo soprannome); dicevo che questo piccolo cinemino, ci ha permesso di vedere i migliori film usciti negli anni sessanta e settanta; magari con ritardo, ma tutti.
La mia amica Simo, di Bruno di Brandino, oggi grande esperta e colonna dell'associazione Arsenale Cinema di Pisa, mi ha ricordato l'episodio accaduto durante la proiezione  del film "Samoa  la regina della jungla" di Guido Malatesta, con una giovane e pottissima Edwige Fenech. L'avvenente passerona fa credere di far l'amore (solo credere perchè si vedono solo le siloutte ) dentro una tenda.  Una mamma, giunta prima del tempo a prendere la figlia, vista la scena, si lamentò con Raggio in modo plateale, minacciando di non mandare più la bimba al cinema; tanto che in seguito Raggio, pur di non vietare i film ai minori, li tartassava delle scene più hard. Li tagliava letteralmente.
Ma il campionario dei film visti " a quei tempi" è vastissimo: gli 007 con Sean Connery e Sordi, la Vitti, Manfredi, Tognazzi, Hitchcock;  e i film musicali di Gianni Morandi e Franco e Ciccio e Via col Vento ( con Carcable), La grande fuga con Steve McQueen, Uccellacci ,uccellini di Pasolini con Totò e tutto Totò; e  i film western con John Wayne e il figliolo dell'Ogliaretto che prendeva la poltroncina di ferro davanti a sè e l'agitava all'inseguimento degli indiani come fosse a cavallo e Gigi di Alina dietro che lo spattonava. E il sabato, in fondo, le coppiette dei fidanzati a far flanella e noi più piccoli a far la fila al bagno per vederli.
E lo sceriffo che si metteva il cappello con le cimici.
E Sergino detto il topetto e Lino di Patrignone a schiantar biglietti e Carlo alla proiezione..
E la Renata, la moglie di Raggio, ai biglietti.
E Pino il Galletti a fare la Siae.
E Raggio rigorosamente in sala a sedare gli animi degli urlatori.
E poi le seme e le noccioline nei sacchettini di carta trasparente.
E la Plava di Opelio, che stava "in corte mia", che non mi faceva perdere il film del sabato sera.
Il cinema nei paesi, a Molina, era uno strumento culturale immenso e non lo sapevamo.
Ce ne siamo accorti da grandi, quando io e Simonetta all'università, ci avvicinammo all'esame di Cinema e di quel periodo sapevamo tutto.
Oggi solo Fiorelli in tv quando va bene o film al computer. Alfabeti di solitudine che i paesi un tempo non conoscevano. Nei paesi tutto si chiamava col noi. Anche le partite alla tv si vedevano  insieme, da Bruno; anche Canzonissima o Lascia o Raddoppia, con le sedie portate da casa.
Momenti irripetibili di un paese che discuteva al bar durante la settimana, la trama del film della domenica.
E poi ridiciamolo, la Loren che si spoglia e Mastroianni che urla....
che ricordo unico per un bimbetto di otto anni e che educazione sentimentale
e che De Sica!!!
Eccolo.



Questo raccontarello é  dedicato a Simonetta "di Bruno di Brandino".
e un bacio.

giovedì 15 marzo 2012

All'asilo dalle suore....

... nella Buca
Opera Cardinale Maffi


Oggi ci vanno " le donnette", come dice la Piera che è una di loro, a giocare a tombola. E poi ci organizzano compleanni, feste, mangiate.
Ma un tempo era l'asilo delle suore.
Con la madre superiora e poi Suor Vincenzina, Suor Concettina, Suor Agata.
Vincenzina era una maestra bravissima, un'educatrice coi fiocchi.
Lì andavamo quasi tutti: figli di comunisti, socialisti, democristiani e liberali.
I partiti per tanto tempo sono stati gli stessi. Non esistevano le eccezioni.
C'era anche meno distinzione tra abbienti e meno abbienti, almeno nelle forme.
Nessuno veniva a prenderci all'uscita col Suv.
E poi c'era il palcoscenico e gli spettacoli, che facevamo noi bimbetti.
E la raccolta delle foglie in autunno, e i panierini di plastica tutti uguali nella forma ma colorati.
E le cose fatte in fila e quelle fatte in cerchio.E la madonnina fra i cespugli, dove ci nascondevamo in silenzio.
Le seggioline piccole e le bimbe bellissime e piene di fiocchi nei capelli, che amavo zitto zitto; e Marrico amico del cuore e Aurelio l'Allegrini, altro amico di allora, il pupillo delle suore, che tentò di farsi prete ma rinunciò ben presto. E don Ilio che arrivava in ispezione con Giovanni della Diana di Beppe di Ciomeri o Gigetto del Corti; ed io che li guardavo e sognavo di fare il chierichetto con loro.
Cosa che poi ho fatto.
Tutte cose figlie di tempi lontani.....
Prima del fuoco sacro della politica, arrivata presto e mai perduta.
gs

martedì 6 marzo 2012

Addio a Giuliano Vincoletti

Ottobbre 1969, primo giorno di scuola; io e Manrico Roventini
cominciamo le scuole medie all'Istituto G.B. Niccolini
di San Giuliano Terme; classe 1° C.
Manrico ha una sorella, l'Annarella, è figlio di Piero il Fava e della Elda Vincoletti, sorella di Giuliano e della Giuliana,
L'insegnante fa l'appello; quando arriva alla Erre, chiama...
-:"Roventini Manrico!"
Manrico, alza una mano e con voce decisa risponde, quasi urlando:-Sono io! E sono il nipote del Sindaco"-
Quante volte nel tempo ho raccontato a Giuliano Vincoletti questa battuta.
E come si divertiva...
Addio Sindaco.



domenica 4 marzo 2012

11 Raccontarello della domenica: Buino

La sede della sezione del Partito Comunista di Molina di Quosa dalla metà anni settanta
 fino alla sua definitiva chiusura, è stata nei locali in fondo Borgo, dove prima c'erano i meccanici Carlo e Dino (ditta Maccioni La Monaca).
Negli anni sessanta il Borgo era l'anima commerciale del paese. Ma in tutta Molina c'erano moltissime attività.
"In fondo Borgo c'era il forno di Pioviscolo. Venendo su su, c'era la macelleria di Luigino passata poi al suo aiutante Mauro; davanti il deposito delle bombole del gas. Risalendo, L'Angiolina che vendeva le sigarette e anche le figurine Panini. Di là dalla strada l'ufficio del Dazio, i meccanici e Romeo il barbiere (il mio babbo)), che aveva preso il negozio dove aveva imparato il mestiere, dal Marchetti marito dell'Angiolina. Davanti la Franca di Galiano (con una elle sola), la pettinatrice ( c'era anche un'altra parrucchiera,la Bonaria che lavorava nella buca e successivamente , "scese a valle" nel fondo dello Studiati sulla statale, sotto la casa del Gamba e la Beppina) ; accanto alla Franca, la Posta col Tempestini e poi Lucia la figlia. La distilleria del Gabbriellini e Sergio del Corti e la bottega di frutta e verdura del Pioppino. La Noemi, per un breve periodo, che vendeva già i jeans Roy Roger's; e sulla Piazza il Giannelli che invece vendeva le stoffe e  il bar di Bruno " la botteghina"accanto alla  Fernanda di Dolfetto che vendeva anche lei stoffe e Pippolino il lattaio. Subito dopo la chiesa, il negozio della Leonetta, la mamma del Saetta; anche lei vendeva abbigliamento e davanti il cinema di Raggio. Sempre sulla piazza vicino alla fonte, l'altro macello con Renato e Mariolino, il casotto della frutta e verdura, della Rina e del Gamba e il Nicchio l'altro barbiere nel casotto accanto al cartellone del cinema; davanti il bar Di Pasquale con le famose sfide al biliardo del fava, sostituito poi da Caccole altro storico barrista, prima di terminare con l'indimenticabile Omone ( brombillo?). Più avanti, la Eni che vendette al Cecchetti (per poco tempo in quei locali c'ere stato anche l'orologiaio prima di trasferirsi a Pontasserchio e alla fine quelli delle televisioni " il sonno e la febbre"), poi la Pietrina sostituita  dalla Margherita e dopo dalla Sandra, la Co' che faceva la schiacciata unica, e Pompeo, tutti alimentari;sotto la discesina accanto a Remo il muto, che spennava i polli, c'era un garage con lo stagnino e vicino Enzino l'imbianchino. Prima di Pompeo c'era la banca, poi trasferita sulla via Nova e dietro l'isolato c'era la segheria di Carlo di Bugiino. Sulla curva della via Nova, Manlio e la panna. L'ambulatorio del dottore era dove stava Tobere il calzolaio, vicino al ballo di Marino (che a quel tempo era anche meccanico e mille altre cose), verso Rigoli, nei locali della Società Operaia di mutuo Soccorso.
Sul rio per andare in piazza di sopra, non ancora "tappato", c'era Sandrino di Gigetto e i figli Pilli e Sceriffo, i vinai e più su la bottega di Gigo il carbonaio, sull'angolo in piazza di sopra, che come Pompeo vendeva di tutto, anche le stufe; in piazza di sopra altri due forni, Gino di Gaetano e Cincione e i circoli Cral,  Acli e la Giulia della Carola. Più o meno, ricordata al volo e mi scuso per la "pappardella", questa era la formazione commerciale degli anni sessanta, quando avevo sì e no dieci anni."
Se richiudo gli occhi come un attimo fa, quando ho provato a ricordarle le attività commerciali per farne l'elenco, vedo una vita sociale senza eguali. Ricca e semplice allo stesso tempo. Irripetibile.
In Borgo c'era una bella  concentrazione di negozi. Era molto vissuto il Borgo allora, con in fondo Le Covinelle e i ragazzi a giocare a pallone tutto il giorno.
Agli inizi degli anni settanta molte attività iniziarono a spostarsi. Furono costruiti i palazzi sulla piazza
con alla base diversi fondi commerciali, che permisero diversi cambiamenti. Anche i meccanici si spostarono dopo le Pile, in un fondo nuovo, al piano terra di una palazzina,  dove tutt'ora resiste l'officina del Berchielli. In questo giro di valzer delle attività, i fondi dei meccanici rimasero vuoti e i Comunisti approfittarono per mettere insieme una sede come si deve, che diventò la sezione del Lungomonte e che raccoglieva oltre che i tesserati molinesi, anche quelli dei paesi limitrofi.
La sede era davvero di lusso per quei tempi; prima il Partito Comunista si riuniva in piazza di sopra nelle bottega di Buino il calzolaio, fratello della Velia, che ha lavorato tutta la vita a "far da Tata" a San Giuliano.
Molina è sempre stata un paese di calzolai ( ma c'erano anche tanti sarti, il Sega, Dino di Pietro e Dino di Canapino, Cule e molti panai). Cito una brancata di scarpai, a memoria: oltre a Buino, c'erano Dema, Vico, Armando, Morando, Tobere, Neri e chissà quali non ne ricordo o non ho conosciuto.Così come le Sarte (con la esse maiuscola per la grande professionalità) che erano davvero troppe per essere ricordate e lavoravano tutte in casa.
Comunque tornando a Buino, c'è da dire che era un calzolaio conosciuto per essere  anche il rigorosissimo segretario del Partito Comunista, dal dopoguerra.
Intransigente, coerente con le sue idee, povero e umile o almeno io lo ricordo così, ma fierissimo e orgoglioso dei suoi ideali, che non avrebbe cambiato con niente.
Lavorava seduto su una seggiolina bassa, entrando nella stanza, subito a destra.Un luogo buio e suggestivo. L'unica luce sempre accesa era quella che ballonzolava sul suo tavolinetto di lavoro.
Dall'altra parte della stanza, abbastaza grande, c'erano, sette o otto seggiole, disseminate intorno ad una scrivania. Quella era la parte della  Sezione Comunista. Sui muri, che non venivano imbiancati chissà da quando, quattro quadretti tutti nello stesso stile, in bianco e nero: Marx, Engels, Lenin e Stalin. Altri due quadretti, ma di dimensione diversa, raffiguravano Togliatti e Gramsci.
C'era anche una bandiera rossa con falce e martello "ricamata. Un capolavoro.
Da ragazzo, andavo spesso da Buino, la sera prima della cena; spesso per far ricucire uno scarponcello, ma soprattutto per il piacere di farmi raccontare storie.
Mi considerava uno "scellerato", un estremista, essendo a quei tempi appasionato di Adiano Sofri, ma sotto, sotto gli garbavo.
Io giovane, appunto scellerato, a dirgli che Berlinguer era un "socialdemocratico" e lui paziente nel ribadire che presto avrei capito, bastava aspettare qualche anno. E aveva ragione; quante volte mi sono riletto Berlinguer e la sua questione morale e quanto è stata importante la fermezza del PCI e il senso dello Stato, nella battaglia contro il terrorismo. Ma allora avevo 16 anni e ero orgogliosamente estremista: un marchio di fabbrica per quei tempi, che ho molto amato.Un'altra cosa che ci divideva era il giudizio sull'Unione Sovietica. Io sostenevo che laggiù, non ci fosse libertà; lui legato, a ragione, al mito della Rivoluzione d'Ottobre, ribadiva che i poveri in Russia erano stati tolti dalla condizione di servi della gleba e messi nella condizione di mangiare, studiare e curarsi e che per garantire tutto questo fosse necessaria  anche qualche deroga alla liberà. La riflessione non faceva una grinza.
Con questo modo di ragionare, Buino si dimostrava un onesto comunista, formatosi in Italia come molti; col culto ( e la conosciuta doppiezza) di Togliatti nel cuore e la Democrazia Cristiana, la chiesa e gli americani come i veri avversari.
I fascisti erano ormai alle spalle, battuti dalla Resistenza. Così diceva scaldandosi.
Io spesso facevo d'ogni erba un fascio, semplificavo e chiamavo tutti fascisti.... Ma lui mi capiva.
Qualche volta ho avuto il privilegio di consultare un quadernino dalla copertina nera, che mi faceva leggere in sua rigorosa presenza, dove c'erano annotati a penna stilografica, tutti i nomi degli iscritti al Partito, dal periodo del fascismo fino agli anni sessanta; compresi gli ultimi iscritti. C'erano anche i nomi degli espulsi  e di quelli che se ne erano andati spontaneamente. Un paio di espulsi li ricordo bene. Appena pensava che stessi leggendo troppo o facessi domande invadenti, in un batter d'occhio mi toglieva il quaderno e lo rimetteva nel cassetto, chiudendo a chiave."Non dire niente, ti te mi fido"
Era strano leggere nomi  di persone che io sapevo essere tutt'altro che comunisti e vederli in quella lista....., ma così era.-"Dopoguerra, tutti dicevano di aver fatto la resistenza.."-mi diceva.
Lui sosteneva che gli espulsi, molto pochi per la verità, si erano macchiati di cose che un comunista non deve mai fare e quelli andati via spontaneamente lo avevano fatto per trovare lavoro. "Non si entra in fabbrica se si è comunisti"- diceva convinto.E rimarcava con orgoglio la differenza fra chi cedeva e chi no......
"Se non ci fossero state le amministrazioni locali rosse, nessun comunista avrebbe lavorato in un ente"- aggiungeva. Io ascoltavo senza interloquire.
Il trasloco della sezione fece sparire quel quadernino, finito forse in qualche sacco dell'immondizia, che ho ricercato con ardore per un po'.
Quello che non sparì furono i quadri, che erano appesi nella vecchia stanza in Piazza di Sopra.
Appena finita l'imbiancatura e la bonifica dei locali, tutti gli eroi comunisti trovarono alloggio sui muri delle stanze della sezione nuova di trinca. E presenziarono alla inaugurazione, fatta come si conviene.
Stalin non fu appeso, lo ricordo bene. Noi giovani, frequentavamo assiduamente quel luogo, grazie e soprattutto al grande Tonfo, che ebbe la genialità di infilare nella stanza anche un ping-pong. La sezione era diventata un oratorio rosso. Comunque il quadro di Stalin viaggiava appoggiato in terra da una parete all'altra, senza che a nessuno venisse la voglia di attaccarlo (per molti l'eco delle purghe staliniane si era fatto definitivamente strada nell coscienze), ma nemmeno buttarlo via, perchè avrebbe toccato la suscettibilità dei più vecchi nostalgici, ai quali andava fatto capire a poco a poco, senza traumi, che Stalin ci conbinava poco col Sol dell'Avvenire.
Una sera alla fine di una riunione come tante, prima di salutarsi, Buino, che non aveva più incarichi di partito, alzò una mano, tenendo il quadro di Stalin nell'altra e disse perentorio-: Se Luilì - e alzò il quadretto ammiccandolo,- 'un lo vole nessuno, lo piglio io".
Nessuno aprì bocca. Buino, non aspettò risposte, rimise Stalin sotto il braccio, come la borsa coi soldi che gli veniva affidata la sera tardi alle feste dell'Unità e si avviò vero casa.
Il quadro fu appeso accanto a sè nella sua bottega. Chiunque entrava non poteva fare a meno di vederlo tanto se lo era messo vicino.
Un giorno che capitai lì mi disse sorridendo ammiccandolo.-"E' ritornato a casa sua! Non ci sta mica male...no? Così mi sento meno solo."
C' è rimasto finchè Francesco Paolini detto Buino è campato.
Per lui un grande sventolar di bandiere rosse.

venerdì 2 marzo 2012

10 Raccontarello della domenica, con filastroccca: Quattro venti

Sono molto legato a Quattro Venti, "dal Guidotti"; ci ho fatto anche il pranzo del mio matrimonio.
Ci sono sempre andato come molti, fin da ragazzo; prima che "il piano Fanfani" facesse la strada.
Ci andavo a benedire con don Ilio (l'ho fatte proprio tutte).
Ci sono andato in tutti i periodi della mia vita. Ho memoria che insieme ad altri ero lì a cena la sera che ci fu il terremoto in Friuli, era il 1977; e molte altre volte.
Ci ho portato tutte le mie fidanzate e ci facevo il pranzo con la mia classe, ad ogni fine anno scolastico.
Ci sono andato quando contavo "qualcosa" in questo comune. Ci vado ora che 'un conto nulla. Senza dire niente a nessuno, arrivo lassù, passeggio, mi guardo intorno e torno giù.
Fare questo d'inverno, quando è freddo e c'è il sole, mi fa tornare ragazzo.
Ci ho portato gli amici lontani e stato mille volte con quelli vicini.
Voglio bene a 4 Venti. Francone non c'è più; lui mi raccontava storie di Resistenza e di fascisti.
Mi raccontava che "il Guidotti" aveva preso il nome "4 Venti", perchè battezzato dagli studenti pisani, che erano stati mandati lì a rifocillarsi nel 1848, prima della battaglia di Curtatone e Montanara. Dormivano nelle tende ai Pianoni.
Mi parlava delle cene di Mussi, D'Alema e Di Donato.
E di Sofri.
4 venti è un pezzo di cuore di Molina e le figlie di Franco e la Elda che lo tengono in vita, meritano un bacio.
Anni fa, facevo ancora il capofai, dopo un pranzo invitato da Franco, tornai in comune e scrissi una rimetta. L'ho ritrovata per caso e risistemata.
Eccola.

Francone porta il pane
sotto il braccio sudato
ci versa vino rosso
e taglia l'affettato
Ritorna con la zuppa
di cavolo e cipolla
e la salsiccia nera
bruciata sulla griglia
Ride mentre racconta
storie d'antifascismo
impreca si sgomenta
s'arruffa con cipiglio 
Ed io sto ad ascoltarlo
seguendo i suoi cimenti
mi sento come a casa
qui siamo ai 4 Venti.