domenica 4 marzo 2012

11 Raccontarello della domenica: Buino

La sede della sezione del Partito Comunista di Molina di Quosa dalla metà anni settanta
 fino alla sua definitiva chiusura, è stata nei locali in fondo Borgo, dove prima c'erano i meccanici Carlo e Dino (ditta Maccioni La Monaca).
Negli anni sessanta il Borgo era l'anima commerciale del paese. Ma in tutta Molina c'erano moltissime attività.
"In fondo Borgo c'era il forno di Pioviscolo. Venendo su su, c'era la macelleria di Luigino passata poi al suo aiutante Mauro; davanti il deposito delle bombole del gas. Risalendo, L'Angiolina che vendeva le sigarette e anche le figurine Panini. Di là dalla strada l'ufficio del Dazio, i meccanici e Romeo il barbiere (il mio babbo)), che aveva preso il negozio dove aveva imparato il mestiere, dal Marchetti marito dell'Angiolina. Davanti la Franca di Galiano (con una elle sola), la pettinatrice ( c'era anche un'altra parrucchiera,la Bonaria che lavorava nella buca e successivamente , "scese a valle" nel fondo dello Studiati sulla statale, sotto la casa del Gamba e la Beppina) ; accanto alla Franca, la Posta col Tempestini e poi Lucia la figlia. La distilleria del Gabbriellini e Sergio del Corti e la bottega di frutta e verdura del Pioppino. La Noemi, per un breve periodo, che vendeva già i jeans Roy Roger's; e sulla Piazza il Giannelli che invece vendeva le stoffe e  il bar di Bruno " la botteghina"accanto alla  Fernanda di Dolfetto che vendeva anche lei stoffe e Pippolino il lattaio. Subito dopo la chiesa, il negozio della Leonetta, la mamma del Saetta; anche lei vendeva abbigliamento e davanti il cinema di Raggio. Sempre sulla piazza vicino alla fonte, l'altro macello con Renato e Mariolino, il casotto della frutta e verdura, della Rina e del Gamba e il Nicchio l'altro barbiere nel casotto accanto al cartellone del cinema; davanti il bar Di Pasquale con le famose sfide al biliardo del fava, sostituito poi da Caccole altro storico barrista, prima di terminare con l'indimenticabile Omone ( brombillo?). Più avanti, la Eni che vendette al Cecchetti (per poco tempo in quei locali c'ere stato anche l'orologiaio prima di trasferirsi a Pontasserchio e alla fine quelli delle televisioni " il sonno e la febbre"), poi la Pietrina sostituita  dalla Margherita e dopo dalla Sandra, la Co' che faceva la schiacciata unica, e Pompeo, tutti alimentari;sotto la discesina accanto a Remo il muto, che spennava i polli, c'era un garage con lo stagnino e vicino Enzino l'imbianchino. Prima di Pompeo c'era la banca, poi trasferita sulla via Nova e dietro l'isolato c'era la segheria di Carlo di Bugiino. Sulla curva della via Nova, Manlio e la panna. L'ambulatorio del dottore era dove stava Tobere il calzolaio, vicino al ballo di Marino (che a quel tempo era anche meccanico e mille altre cose), verso Rigoli, nei locali della Società Operaia di mutuo Soccorso.
Sul rio per andare in piazza di sopra, non ancora "tappato", c'era Sandrino di Gigetto e i figli Pilli e Sceriffo, i vinai e più su la bottega di Gigo il carbonaio, sull'angolo in piazza di sopra, che come Pompeo vendeva di tutto, anche le stufe; in piazza di sopra altri due forni, Gino di Gaetano e Cincione e i circoli Cral,  Acli e la Giulia della Carola. Più o meno, ricordata al volo e mi scuso per la "pappardella", questa era la formazione commerciale degli anni sessanta, quando avevo sì e no dieci anni."
Se richiudo gli occhi come un attimo fa, quando ho provato a ricordarle le attività commerciali per farne l'elenco, vedo una vita sociale senza eguali. Ricca e semplice allo stesso tempo. Irripetibile.
In Borgo c'era una bella  concentrazione di negozi. Era molto vissuto il Borgo allora, con in fondo Le Covinelle e i ragazzi a giocare a pallone tutto il giorno.
Agli inizi degli anni settanta molte attività iniziarono a spostarsi. Furono costruiti i palazzi sulla piazza
con alla base diversi fondi commerciali, che permisero diversi cambiamenti. Anche i meccanici si spostarono dopo le Pile, in un fondo nuovo, al piano terra di una palazzina,  dove tutt'ora resiste l'officina del Berchielli. In questo giro di valzer delle attività, i fondi dei meccanici rimasero vuoti e i Comunisti approfittarono per mettere insieme una sede come si deve, che diventò la sezione del Lungomonte e che raccoglieva oltre che i tesserati molinesi, anche quelli dei paesi limitrofi.
La sede era davvero di lusso per quei tempi; prima il Partito Comunista si riuniva in piazza di sopra nelle bottega di Buino il calzolaio, fratello della Velia, che ha lavorato tutta la vita a "far da Tata" a San Giuliano.
Molina è sempre stata un paese di calzolai ( ma c'erano anche tanti sarti, il Sega, Dino di Pietro e Dino di Canapino, Cule e molti panai). Cito una brancata di scarpai, a memoria: oltre a Buino, c'erano Dema, Vico, Armando, Morando, Tobere, Neri e chissà quali non ne ricordo o non ho conosciuto.Così come le Sarte (con la esse maiuscola per la grande professionalità) che erano davvero troppe per essere ricordate e lavoravano tutte in casa.
Comunque tornando a Buino, c'è da dire che era un calzolaio conosciuto per essere  anche il rigorosissimo segretario del Partito Comunista, dal dopoguerra.
Intransigente, coerente con le sue idee, povero e umile o almeno io lo ricordo così, ma fierissimo e orgoglioso dei suoi ideali, che non avrebbe cambiato con niente.
Lavorava seduto su una seggiolina bassa, entrando nella stanza, subito a destra.Un luogo buio e suggestivo. L'unica luce sempre accesa era quella che ballonzolava sul suo tavolinetto di lavoro.
Dall'altra parte della stanza, abbastaza grande, c'erano, sette o otto seggiole, disseminate intorno ad una scrivania. Quella era la parte della  Sezione Comunista. Sui muri, che non venivano imbiancati chissà da quando, quattro quadretti tutti nello stesso stile, in bianco e nero: Marx, Engels, Lenin e Stalin. Altri due quadretti, ma di dimensione diversa, raffiguravano Togliatti e Gramsci.
C'era anche una bandiera rossa con falce e martello "ricamata. Un capolavoro.
Da ragazzo, andavo spesso da Buino, la sera prima della cena; spesso per far ricucire uno scarponcello, ma soprattutto per il piacere di farmi raccontare storie.
Mi considerava uno "scellerato", un estremista, essendo a quei tempi appasionato di Adiano Sofri, ma sotto, sotto gli garbavo.
Io giovane, appunto scellerato, a dirgli che Berlinguer era un "socialdemocratico" e lui paziente nel ribadire che presto avrei capito, bastava aspettare qualche anno. E aveva ragione; quante volte mi sono riletto Berlinguer e la sua questione morale e quanto è stata importante la fermezza del PCI e il senso dello Stato, nella battaglia contro il terrorismo. Ma allora avevo 16 anni e ero orgogliosamente estremista: un marchio di fabbrica per quei tempi, che ho molto amato.Un'altra cosa che ci divideva era il giudizio sull'Unione Sovietica. Io sostenevo che laggiù, non ci fosse libertà; lui legato, a ragione, al mito della Rivoluzione d'Ottobre, ribadiva che i poveri in Russia erano stati tolti dalla condizione di servi della gleba e messi nella condizione di mangiare, studiare e curarsi e che per garantire tutto questo fosse necessaria  anche qualche deroga alla liberà. La riflessione non faceva una grinza.
Con questo modo di ragionare, Buino si dimostrava un onesto comunista, formatosi in Italia come molti; col culto ( e la conosciuta doppiezza) di Togliatti nel cuore e la Democrazia Cristiana, la chiesa e gli americani come i veri avversari.
I fascisti erano ormai alle spalle, battuti dalla Resistenza. Così diceva scaldandosi.
Io spesso facevo d'ogni erba un fascio, semplificavo e chiamavo tutti fascisti.... Ma lui mi capiva.
Qualche volta ho avuto il privilegio di consultare un quadernino dalla copertina nera, che mi faceva leggere in sua rigorosa presenza, dove c'erano annotati a penna stilografica, tutti i nomi degli iscritti al Partito, dal periodo del fascismo fino agli anni sessanta; compresi gli ultimi iscritti. C'erano anche i nomi degli espulsi  e di quelli che se ne erano andati spontaneamente. Un paio di espulsi li ricordo bene. Appena pensava che stessi leggendo troppo o facessi domande invadenti, in un batter d'occhio mi toglieva il quaderno e lo rimetteva nel cassetto, chiudendo a chiave."Non dire niente, ti te mi fido"
Era strano leggere nomi  di persone che io sapevo essere tutt'altro che comunisti e vederli in quella lista....., ma così era.-"Dopoguerra, tutti dicevano di aver fatto la resistenza.."-mi diceva.
Lui sosteneva che gli espulsi, molto pochi per la verità, si erano macchiati di cose che un comunista non deve mai fare e quelli andati via spontaneamente lo avevano fatto per trovare lavoro. "Non si entra in fabbrica se si è comunisti"- diceva convinto.E rimarcava con orgoglio la differenza fra chi cedeva e chi no......
"Se non ci fossero state le amministrazioni locali rosse, nessun comunista avrebbe lavorato in un ente"- aggiungeva. Io ascoltavo senza interloquire.
Il trasloco della sezione fece sparire quel quadernino, finito forse in qualche sacco dell'immondizia, che ho ricercato con ardore per un po'.
Quello che non sparì furono i quadri, che erano appesi nella vecchia stanza in Piazza di Sopra.
Appena finita l'imbiancatura e la bonifica dei locali, tutti gli eroi comunisti trovarono alloggio sui muri delle stanze della sezione nuova di trinca. E presenziarono alla inaugurazione, fatta come si conviene.
Stalin non fu appeso, lo ricordo bene. Noi giovani, frequentavamo assiduamente quel luogo, grazie e soprattutto al grande Tonfo, che ebbe la genialità di infilare nella stanza anche un ping-pong. La sezione era diventata un oratorio rosso. Comunque il quadro di Stalin viaggiava appoggiato in terra da una parete all'altra, senza che a nessuno venisse la voglia di attaccarlo (per molti l'eco delle purghe staliniane si era fatto definitivamente strada nell coscienze), ma nemmeno buttarlo via, perchè avrebbe toccato la suscettibilità dei più vecchi nostalgici, ai quali andava fatto capire a poco a poco, senza traumi, che Stalin ci conbinava poco col Sol dell'Avvenire.
Una sera alla fine di una riunione come tante, prima di salutarsi, Buino, che non aveva più incarichi di partito, alzò una mano, tenendo il quadro di Stalin nell'altra e disse perentorio-: Se Luilì - e alzò il quadretto ammiccandolo,- 'un lo vole nessuno, lo piglio io".
Nessuno aprì bocca. Buino, non aspettò risposte, rimise Stalin sotto il braccio, come la borsa coi soldi che gli veniva affidata la sera tardi alle feste dell'Unità e si avviò vero casa.
Il quadro fu appeso accanto a sè nella sua bottega. Chiunque entrava non poteva fare a meno di vederlo tanto se lo era messo vicino.
Un giorno che capitai lì mi disse sorridendo ammiccandolo.-"E' ritornato a casa sua! Non ci sta mica male...no? Così mi sento meno solo."
C' è rimasto finchè Francesco Paolini detto Buino è campato.
Per lui un grande sventolar di bandiere rosse.

3 commenti:

  1. Forse nel periodo che parli te,non c era ancora il negozio della lucia e dell ottorina???

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  2. >C erano quei pomeriggi che intorno alle quattro in paese cominciava ad aleggiare un odore che un molinese doc non potrà mai dimenticare, un odore di pasta lievitata, di olio buono e di cenere, e allora cominciava una corsa frenetica per arrivare giu sotto in quel forno buio ma allo stesso tempo cosi caldo, dove un donnone con un grembiulone bianco sfornava pagnotte calde dalla forma imperfetta chiamate Cazzotti.. e poi lei , la schiacciata croccante e morbida allo stesso tempo, con i buchini pieni di olio buono e con un lieve odore odore di cenere, calda e fragante, poi la tagliava a pezzi e la te la metteva su un foglio di carta gialla, e quando le mamme erano magnagnime ti davano i soldini per metterci dentro anche un fettone di mortadella o se ci andava di lusso anche una fetta di quel prosciutto crudo bono che Moscone tagliava a mano..... quelli ragazzi erano sapori genuini, sapori pieni di pace .... se invece si voleva qualcosa di dolce allora si andava in Piazza da Pippolino in latteria , li l odore era un altro , odore di latte fresco a volte un po rancidito, e li c era il latte fresco, i barattoli con le caramelle, e la panna fresca.Cara dolce e bella Molina come eri bella!!!!

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