Nel dopoguerra, in ognidove si cominciarono a vedere le Madonne che piagevano.
Autentiche lacrime che facevano gridare al miracolo. Così erano le voci che giravano.
Stormi di persone cominciarono a recarsi sui luoghi dove si diceva essere in corso l'accadimento; ovviamente sperando in una grazia. Quello che oggi avviene a Lourdes, Medjugorje o Fatima su scala industriale, con gite organizzate da tutto il mondo, trasmissioni televisive e agenzie di viaggi e non solo, che si rinpinguano le tasche, allora avveniva in forma artigianale in tante piccole località.
La paura dei cosacchi in piazza San Pietro, fece nascere la più grande forma di propaganda anticomunista al cospetto della quale, quelle degli ultimi anni messe in moto dal Caimano sono state roba da boy scouts.
Anche da Molina vi furono partenze, nel nostro caso alla volta di Marina di Pisa, dove si diceva ci fosse anche lì una Madonna che piangeva.
Marcellino detto Tomaione era un ragazzo di paese non del tutto a posto, fu preso e anche lui avviato verso il mare, con l'intento che potesse trarne qualche beneficio. Al più sarebbe rimasto com'era.
Marcello era un ragazzo con problemi di ritardo mentale notevoli ma aveva una simpatia innata. Tutti dicevano che se la vita non gli avesse voluto male avrebbe potuto fare il comico. Perchè comico lo era davvero e tutto il paese gli voleva bene e da lui comprava i bombolobi che portava in giro nella cesta.
Fu accompagnato verso l'imprevedibile miracolo, dalla sorella Anna che aveva sposato Enzino l'imbianchino e dalla suocera di quest'ultima la Niccolina
Giunti a Marina e atteso il turno per inginocchiarsi, in attesa di vedere le lacrime e ottenere comunque una grazia, Marcello fu lasciato nel silenzio di una piccola grotta, dov'era la statua della Madonna, in mezzo a decine e decine di candele di cera accese.
Dopo un po' la Nicolina lo raggiunse trepidante, sperando che Marcello avesse qualcosa da dirgli: -"L'hai viste le lacrime? ti ha detto qualcosa?" gli ripetè più volte. Lui candido come un giglio dopo un po' di silenzio fece sì con la testa, suscitando curiosità che contagiò subito tutti; e di lì a poco si sentirono urla festanti alzarsi in cielo.Tutti allora gli si fecero intorno, tempestandolo di domande, con l'intento di sapere cosa lui, gli avesse chiesto:-Gli hai detto che hai problemi alla testa ma che sei buono. Gli hai spiegato che ti piacerebbe essere normale....Gli hai... gli hai.... dicci Marcellino..." E così domande su domande, senza aspettere nessuna risposta.
Lui guardava tutti incredulo... finchè uno dei presenti gli chiese-: "ma lei,la Madonnina cosa ti ha detto?"
Marcello si guardò intorno, piegò il collo di lato, si prese il labbro inferiore con la mano destra come faceva sempre quando era imbarazzato, lo stiracchiò per guardarselo e disse:-" Ha detto... ha detto... Vedremo....!"
Perchè Marcello detto Tomaione aveva i tempi comici di Totò.
martedì 31 luglio 2012
domenica 29 luglio 2012
Ohi paisà!!!
Voglio raccontarvi la storia del detto "Ohi paisà".
Se ricordate "Pipo o greppia", questo modo di dire è la sua conseguenza.
Se il terzo di mano a briscola, quando spacca col carico da undici, esclama con forza, "o pipo o greppia", sostituendo il più usato "o la va o la spacca", e nel giro di un attimo scopre che il quarto ha un briscolino piccolo, un due o un quattro e fa sua la mano; bene, colui che con veemenza aveva fatto qell'esclamazione colorita, corteggiando la fortuna, dopo il fallito tentativo si avvierà immediatamente ad esclamare-" ohi paisà" come dire, è andata male, anzi ,come meglio dire, "mi hanno fatto male" (l'ho preso in quel posto...)
Appunto, ohi paisà! è un esclamazione di dolore, che a Molina si usa quando qualcosa va e fa male.
Veniamo allora alla breve storia.
Il protagonista lo chiamiamo per convenzione Martello
Durante il passaggio della guerra il nostro protagonista, viaggiava per il paese felice di veder passare sotto i suoi occhi le grandi jeep degli americani che erano venuti a liberarci. A Molina si era insediato il comando americano, in villa Questa per la precisione. Martello era un po' tarullo, di quei ragazzi lontani dall'esser scaltri. Di quelli che credeva a tutto e a tutti davano retta.
Un giorno, un americanone infoiato attiratolo nella sua tenda con una scusa, lo sodmizzò senza mezzi termini ( sì sì, avete capito bene, gliele mise proprio in quel posto..., inutile fare tanti giri di parole).
I "liberatori" avevano in uso di chiamare i nostri ragazzi Paisà; da lì il noto film di Rossellini, girato anche alla villa Roncioni di Pugnano. Ma anche i nostri ragazzi usavano rispondere con la stessa esclamazione.
-" Salve Paisà... com'è paisà ... hai una sigaretta paisà"
Martello non immaginava che quel giorno l'americano, anzichè regalargli cioccolate e sigarette, mirasse invece al suo didietro. E l'ottenne, con le buone o con le cattive. Nessuno ha mai saputo la dinamica tecnica dei fatti, ma così fu.
Non era stato né il primo né ultimo, vittima di brutalità, difficili da denunciare allora.
E chi se la sentiva di andare al comando americano a dire che il tal militare aveva fatto violenza su un figlio o un conoscente. E poi la guerra aveva talmente alzato il livello di percezione e accoglienza della violenza, che purtroppo certi accadimenti, rientravano nella norma
Martello quindi,non potè che gridare per il dolore e poi raccontare la storia in giro, più come fatto di cronaca che come denuncia. Addirittura facendo diventare l'episodio, in sè ributtante, una gag comica da tramandare. E così è stato.
Nel tempo quando in paese, qualcuno che sapeva la storia, lo incontrava e gliela faceva raccontare, alla domanda-:" O Martello, ma te mentre stavi sotto, cosa gli dicevi...?"
Lui candidamente rispondeva-:"Ohi paisà, ohi paisà!!!"
Appunto. Come trovare un briscolino all'ultimo di mano... Si prende nel culo, sempre. Ohi paisà!!!
g
Se ricordate "Pipo o greppia", questo modo di dire è la sua conseguenza.
Se il terzo di mano a briscola, quando spacca col carico da undici, esclama con forza, "o pipo o greppia", sostituendo il più usato "o la va o la spacca", e nel giro di un attimo scopre che il quarto ha un briscolino piccolo, un due o un quattro e fa sua la mano; bene, colui che con veemenza aveva fatto qell'esclamazione colorita, corteggiando la fortuna, dopo il fallito tentativo si avvierà immediatamente ad esclamare-" ohi paisà" come dire, è andata male, anzi ,come meglio dire, "mi hanno fatto male" (l'ho preso in quel posto...)
Appunto, ohi paisà! è un esclamazione di dolore, che a Molina si usa quando qualcosa va e fa male.
Veniamo allora alla breve storia.
Il protagonista lo chiamiamo per convenzione Martello
Durante il passaggio della guerra il nostro protagonista, viaggiava per il paese felice di veder passare sotto i suoi occhi le grandi jeep degli americani che erano venuti a liberarci. A Molina si era insediato il comando americano, in villa Questa per la precisione. Martello era un po' tarullo, di quei ragazzi lontani dall'esser scaltri. Di quelli che credeva a tutto e a tutti davano retta.
Un giorno, un americanone infoiato attiratolo nella sua tenda con una scusa, lo sodmizzò senza mezzi termini ( sì sì, avete capito bene, gliele mise proprio in quel posto..., inutile fare tanti giri di parole).
I "liberatori" avevano in uso di chiamare i nostri ragazzi Paisà; da lì il noto film di Rossellini, girato anche alla villa Roncioni di Pugnano. Ma anche i nostri ragazzi usavano rispondere con la stessa esclamazione.
-" Salve Paisà... com'è paisà ... hai una sigaretta paisà"
Martello non immaginava che quel giorno l'americano, anzichè regalargli cioccolate e sigarette, mirasse invece al suo didietro. E l'ottenne, con le buone o con le cattive. Nessuno ha mai saputo la dinamica tecnica dei fatti, ma così fu.
Non era stato né il primo né ultimo, vittima di brutalità, difficili da denunciare allora.
E chi se la sentiva di andare al comando americano a dire che il tal militare aveva fatto violenza su un figlio o un conoscente. E poi la guerra aveva talmente alzato il livello di percezione e accoglienza della violenza, che purtroppo certi accadimenti, rientravano nella norma
Martello quindi,non potè che gridare per il dolore e poi raccontare la storia in giro, più come fatto di cronaca che come denuncia. Addirittura facendo diventare l'episodio, in sè ributtante, una gag comica da tramandare. E così è stato.
Nel tempo quando in paese, qualcuno che sapeva la storia, lo incontrava e gliela faceva raccontare, alla domanda-:" O Martello, ma te mentre stavi sotto, cosa gli dicevi...?"
Lui candidamente rispondeva-:"Ohi paisà, ohi paisà!!!"
Appunto. Come trovare un briscolino all'ultimo di mano... Si prende nel culo, sempre. Ohi paisà!!!
g
venerdì 27 luglio 2012
Carlo di Bugiino
Carlo Roventini, di Bugiino era un signore benestante . Cresciuto con la bugia sul naso, tramandata da generazioni, amava stupire il prossimo dicendole grosse davvero.
Ne diceva molte, ma molte ne faceva anche.
Aveva per moglie la Irga., un fratello gemello Berto non vedente e un altro andato in America, Alfredino, che sposò la mitica Bardesca, che si presentava a Molina con certe scarpe coi tacchi che "un le prendeva in bocca un cane". Aveva anche due sorelle: La Tosca e la Mema (Livia), che era la mamma del Fava.
Dirigeva la segheria nel cuore del paese producendo cassette per la Genepesca. In segheria hanno lavorato tanti molinesi.In seguito la segheria la dirigerà Nanni, il figlio. Aveva anche una figlia, la Giovannina di "carlodibugiino", appunto. Come si diceva in paese per distinguerla da tante altre Giovanne.Della Eva, la Ciaccina di Neri, la Giovanna di Vico o la sorella di Beppe del fosso.
Si spacciava per essere un grande musicista. Suonava il clarino nella banda e diceva di comporre romanze. Ricordo un titolo che per un periodo girava in paese: "Sirenella" che aveva scritto per un carnevale di Timpano, ma grande successo non l'ha mai avuto.E poi, per farlo arrabbiare dicevano che copiava.
Competeva con Rampola, maestro della banda, che dirigeva molto meglio di lui; qualche volta di rado l'aveva anche sostituito, con scarso successo. Almeno a detta dei musicanti della banda stessa, e sotto voce. Capitava poi che durante le prove della banda, al circolo Acli, il maestro Rampola interronpesse, per riprendere questo o quell'errore. E Rampola era uno che quando correggeva si faceva notare, cominciando sempre la frase con un "dioarrabbiato"che è rimasto nella storia. Quando era la volta che riprendeva Carlo, erano scintille, perchè Bugiino non voleva correzioni, al punto che una volta, arrivò a sostenere che lo sbaglio non era suo, ma di Verdi che aveva scritto male quello che stavano suonando...
Sosteneva di avere uno stereo.... che quando metteva i dischi "si sentivano i respiri", ma diceva anche di possedere un cannocchiale con cui vedeva l'erba sulla luna. A chi sosteneva che fosse una bugia, si correggeva dicendo che con l'erba aveva esagerato, ma i bui (sulla luna) li aveva visti sicuramente.
Curioso come pochi, volle sperimentare una delle prime biciclette "Graziella" in mostra dai meccanici Maccioni-La Monaca. Il Maccioni, grande birbante gli sistemò la bici col sellino altissimo dietro e il manubrio tutto abbassato. Tornato dopo il giro di prova, fino alle Covinelle, ebbe a dire. "Scomodina!!!!"
Quando acquistò la Lancia Flavia, che aveva incorporato uno dei primissimi accendisigari, passando da Molina, a seconda di chi vedeva, si fermava e chiedeva-:"mi fai accendere?" indicando l'alloggio dell'accendino.
Ma il pezzo passato alla storia è in segheria con Gianni Palla......
Gianni stava sistemando del legno arrivato da poco, che sarebbe servito per il lavoro della settimana successiva. Lo accastatava a un muro vicino al capannone dove di solito veniva sgrezzato. Carlo passa, lo guarda e gli dice di spostarlo da un'altra parte. Gianni prima con le buone e in seguito irritato, gli dice che non ha senso quello spostamento, perchè di lì a due giorni l'avrebbero tagliato. Carlo lo guarda e gli dice: "Per cortesia vai in ufficio a prendere una carta intestata".
Gianni stupito si incammina verso l'ufficio, convinto che il padrone avesse cambiato discorso certo della impuntatura inopportuna. Presa la carta Gianni torna alla sua catasta di legna e trova Carlo che l'aspetta. Quest'ultimo si fa consegnare il foglio, lo avvicina e gli dice-;" Cosa c'è scritto quassù?". Gianni legge ad alta voce-;" Segheria Carlo Roventini Molina di Quosa Pisa".
."Ecco vedi il padrone sono io, Carlo Roventini, no Gianni Palla. Sposta le legna dove ti ho detto e sbrigati....."
Un fenomeno.
Ne diceva molte, ma molte ne faceva anche.
Aveva per moglie la Irga., un fratello gemello Berto non vedente e un altro andato in America, Alfredino, che sposò la mitica Bardesca, che si presentava a Molina con certe scarpe coi tacchi che "un le prendeva in bocca un cane". Aveva anche due sorelle: La Tosca e la Mema (Livia), che era la mamma del Fava.
Dirigeva la segheria nel cuore del paese producendo cassette per la Genepesca. In segheria hanno lavorato tanti molinesi.In seguito la segheria la dirigerà Nanni, il figlio. Aveva anche una figlia, la Giovannina di "carlodibugiino", appunto. Come si diceva in paese per distinguerla da tante altre Giovanne.Della Eva, la Ciaccina di Neri, la Giovanna di Vico o la sorella di Beppe del fosso.
Si spacciava per essere un grande musicista. Suonava il clarino nella banda e diceva di comporre romanze. Ricordo un titolo che per un periodo girava in paese: "Sirenella" che aveva scritto per un carnevale di Timpano, ma grande successo non l'ha mai avuto.E poi, per farlo arrabbiare dicevano che copiava.
Competeva con Rampola, maestro della banda, che dirigeva molto meglio di lui; qualche volta di rado l'aveva anche sostituito, con scarso successo. Almeno a detta dei musicanti della banda stessa, e sotto voce. Capitava poi che durante le prove della banda, al circolo Acli, il maestro Rampola interronpesse, per riprendere questo o quell'errore. E Rampola era uno che quando correggeva si faceva notare, cominciando sempre la frase con un "dioarrabbiato"che è rimasto nella storia. Quando era la volta che riprendeva Carlo, erano scintille, perchè Bugiino non voleva correzioni, al punto che una volta, arrivò a sostenere che lo sbaglio non era suo, ma di Verdi che aveva scritto male quello che stavano suonando...
Sosteneva di avere uno stereo.... che quando metteva i dischi "si sentivano i respiri", ma diceva anche di possedere un cannocchiale con cui vedeva l'erba sulla luna. A chi sosteneva che fosse una bugia, si correggeva dicendo che con l'erba aveva esagerato, ma i bui (sulla luna) li aveva visti sicuramente.
Curioso come pochi, volle sperimentare una delle prime biciclette "Graziella" in mostra dai meccanici Maccioni-La Monaca. Il Maccioni, grande birbante gli sistemò la bici col sellino altissimo dietro e il manubrio tutto abbassato. Tornato dopo il giro di prova, fino alle Covinelle, ebbe a dire. "Scomodina!!!!"
Quando acquistò la Lancia Flavia, che aveva incorporato uno dei primissimi accendisigari, passando da Molina, a seconda di chi vedeva, si fermava e chiedeva-:"mi fai accendere?" indicando l'alloggio dell'accendino.
Ma il pezzo passato alla storia è in segheria con Gianni Palla......
Gianni stava sistemando del legno arrivato da poco, che sarebbe servito per il lavoro della settimana successiva. Lo accastatava a un muro vicino al capannone dove di solito veniva sgrezzato. Carlo passa, lo guarda e gli dice di spostarlo da un'altra parte. Gianni prima con le buone e in seguito irritato, gli dice che non ha senso quello spostamento, perchè di lì a due giorni l'avrebbero tagliato. Carlo lo guarda e gli dice: "Per cortesia vai in ufficio a prendere una carta intestata".
Gianni stupito si incammina verso l'ufficio, convinto che il padrone avesse cambiato discorso certo della impuntatura inopportuna. Presa la carta Gianni torna alla sua catasta di legna e trova Carlo che l'aspetta. Quest'ultimo si fa consegnare il foglio, lo avvicina e gli dice-;" Cosa c'è scritto quassù?". Gianni legge ad alta voce-;" Segheria Carlo Roventini Molina di Quosa Pisa".
."Ecco vedi il padrone sono io, Carlo Roventini, no Gianni Palla. Sposta le legna dove ti ho detto e sbrigati....."
Un fenomeno.
martedì 24 luglio 2012
La Botteghina
Il millenovecentocinquantotto è l'anno in cui nasco. Il 3 di Luglio. Mia madre era al cinema da Raggio con Romeo il mio babbo, ebbe le doglie, alle tre del Giovedì mattina ero già molinese.
"Born in the MDQ"
Ho il rammarico di aver interrotto la visione di un film ai miei genitori, ma mia madre continua a dire che ne valeva la pena. E' sincera, lo so.
Allora era di moda andar al cinema da Raggio il mercoledì. Le partite di coppa dei campioni , quando si giocavano le davano alla radio.
Nasco in una casa del Lazzeri in Fondo Borgo, accanto a Opelio e la Plava. Un tempo il Borgo era l'anima pulsante del paese; non c'era porta che non avesse una attività economica. E poi, laggiù in fondo, Le Covinelle, il "campo sportivo" di Molina dove intere generazioni hanno giocato a pallone.
All'inizio del Borgo, la mitica Botteghina di Bruno, la pergolina con gli ombrelloni della marca dei gelati e i tavolinetti tondi fuori d'estate. D'inverno tutti pigiati nella prima stanza, quella del banco o di là, montati tre scalini, fra i giocatori di carte, poi in seguito sotto la televisione, spostata lì apposta perchè usurpata dal biliardo nella sua stanza naturale..
La Botteghina con Bruno alla guida, ha aperto nel 1958, è il bar della mia vita, nato con me. Come una compagna di scuola, come lo sono state molte bimbe alle elementari. Va ricordato che il 58 a Molina fu un anno di nascite femminili oltre misura e con loro la Botteghina, che per me era femmina; mentre il bar di Pasquale e di Caccole poi, nel mio immaginario di ragazzetto, era di sesso maschile. Maschi pervenuti nel 58, io, Marrico del Fava, Aurelio dell'Allegrini. Punto. Bimbe tantissime e tutte belle appunto, come la Botteghina.
Da Bruno, venivano anche le donne, o almeno se venivano a un bar, era di lì che passavano. Da Caccole nemmeno a parlarne.Solo uomini duri.
E com'era bella la Botteghina di allora....
Le sedie in fila come al cinema, per vedere la tv, in una sala allora adibita solo a quello. La maggior parte della gente non aveva tv in casa e la sera usciva per vedere le trasmissioni. "Lascia o raddoppia" indimenticabile o STudio Uno, Canzonissima. Il banco dei caffè sulla destra, all'entrata nello spazio allora più stretto, perchè la stanza dove ora ci sono i gelati era occupata dal negozietto di stoffe della Fernanda di Dolfetto. A Natale tombole a iosa, si giocava di "roba" e d'estate tutti fuori fino a tardi e secchiate. Da Bruno l'acqua mai, era porto franco e tutti a parte qualche scapestrato distintosi nel tempo e mai difeso, eravamo d'accordo. Poi anni sessanta inoltrati, il biliardo al posto delle seggiole e la tv nella stanza dietro. Intanto la stanza della Fernanda che chiude l'attività, diventa un'altro pezzo di bar e dietro nasce la stanza a vetri, sotto il terrazzo di Dolfo e Dino con il famoso finestrone aperto, da cui si poteva vedere giocare a biliardo dall'alto, come in un palchetto a teatro. Il Fava che dominava la bazzica sul panno verde e Bosco che faceva il biscazziere ufficiale e comandava la pariglia, finchè un giorno fu richiamato all'ordine per la sua troppa esuberanza e sparì fra le invettive. Mario Roventini, detto Bosco, livoroso e irascibile, una volta dette un colpo sui birilli, quasi a sparecchiare il castello dopo un alterco con un giocatore che non riconosceva la sua decisione. Ripresosi dalla rabbia non si trovava più il birillo rosso del 5. L'aveva piantato nel palmo della mano e badate bene i birilli hanno la testa stondata. L'uomo lo tolse fra i moccoli, lo sciacquò e lo rimise nel mezzo.Tempi eroici, da età dell'oro. E poi un tempo delle partite di calcio, la domenica alle sette la sera e quelle della nazionale, viste rigorosamente tutti insieme. E i mondiali, mitica la notte di Italia-Germania 4 a 3 nel 1970. Un paese a gridare nella notte. E la televisione che per l'occasione era stata portata fuori, sotto la tettoina del flipper.
E i bravissimi giocatori di briscola e scopa, altro che settimino (Bruno vietava l'azzardo spinto. Al masssimo un ramino o una scala. Il pocker si giocava al chiuso, dal grande Cacchione in magazzino). Tutti sapevano il quarantotto e alla fine si poteva giocare con le carte scoperte perchè tutti avevano contato. E la classe stava qui. essere bravissimi fra bravi.
Poi la Paola, figlia di Bruno, insediatasi nel bar fin da ragazzina, che apriva alle sei rigorosamente. E Bruno che chiudeva alle due di notte. Sempre! estate e inverno, una precisione... nemmeno sul lago di Ginevra. E Ubaldo di Pugnano negli ultimi anni, che accompagnava Bruno a casa dopo la chiusura, centinaia di volte. Un bar vero. col gelato sfuso di un tempo; il cono da 30 lire negli anni sessanta, i pinguini e la gazzosa nella bottiglia trasparente zigrinata che si bevava con la birra. E i bicchierotti del vino di Pontassieve che era lo stesso di Ciapino, ottimo e i boeri a strappo e le carte modiano e cambissa E poi rosso antico, stock, vecchia romagna, liquore strega, birre peroni corretti al rum da correzione del Gabbriellini.E la Maria buona e gentile al banco nei momenti di punta e Bruno il capo a mantenere l'ordine e rigido con chiunque. Non c'erano favoritismi per nessuno, nemmeno per i signori, mica s'era a Forte dei Narmi, dove ai "signori" tutto era ed è consentito, anche il dileggio. Molina metteva tutti "nel pari". E poi Gary (in onore di Gary Cooper di Mezzogiorno di Fuoco, perchè gli somigliava) il babbo di Bruno a vedere giocare a carte "dietro". E noi giovani perditempo "lì, sempre lì, lì nel mezzo" fino a notte fonda. Si andava e si tornava alla base. Il bar come casa nostra. Con i conti aperti e i pagamenti a rate. Perchè da Bruno tutti hanno bevuto sempre, anche gli squattrinati. Bastava pagare prima o poi. Nel 1988 il bar è stato venduto a Luca e Carletto (bravi e cari) e nello stesso anno io sono andato via da Molina e mi sono sposato... un caso certamente, ma la fine di un epoca. La mia sicuramente. Il mio tempo a Molina è quello della botteghina di Bruno. Ora dopo quasi 25 anni, è grande amore e memoria da tramandare. Ancora oggi quando vengo dalla Piera e vedo Bruno sulla piazza, lo saluto col rispetto di un tempo. Non si reggono trent'anni in un luogo così difficile, bazzicato da tutto e da tutti, uscendone con grande rispetto.
A Bruno é successo. Grande, come La Botteghina.
"Born in the MDQ"
Ho il rammarico di aver interrotto la visione di un film ai miei genitori, ma mia madre continua a dire che ne valeva la pena. E' sincera, lo so.
Allora era di moda andar al cinema da Raggio il mercoledì. Le partite di coppa dei campioni , quando si giocavano le davano alla radio.
Nasco in una casa del Lazzeri in Fondo Borgo, accanto a Opelio e la Plava. Un tempo il Borgo era l'anima pulsante del paese; non c'era porta che non avesse una attività economica. E poi, laggiù in fondo, Le Covinelle, il "campo sportivo" di Molina dove intere generazioni hanno giocato a pallone.
All'inizio del Borgo, la mitica Botteghina di Bruno, la pergolina con gli ombrelloni della marca dei gelati e i tavolinetti tondi fuori d'estate. D'inverno tutti pigiati nella prima stanza, quella del banco o di là, montati tre scalini, fra i giocatori di carte, poi in seguito sotto la televisione, spostata lì apposta perchè usurpata dal biliardo nella sua stanza naturale..
La Botteghina con Bruno alla guida, ha aperto nel 1958, è il bar della mia vita, nato con me. Come una compagna di scuola, come lo sono state molte bimbe alle elementari. Va ricordato che il 58 a Molina fu un anno di nascite femminili oltre misura e con loro la Botteghina, che per me era femmina; mentre il bar di Pasquale e di Caccole poi, nel mio immaginario di ragazzetto, era di sesso maschile. Maschi pervenuti nel 58, io, Marrico del Fava, Aurelio dell'Allegrini. Punto. Bimbe tantissime e tutte belle appunto, come la Botteghina.
Da Bruno, venivano anche le donne, o almeno se venivano a un bar, era di lì che passavano. Da Caccole nemmeno a parlarne.Solo uomini duri.
E com'era bella la Botteghina di allora....
Piazza. La botteghina è sulla destra. si riconosce la pergolina e gli ombrelloni. Passa il Giro d'Italia. |
Le sedie in fila come al cinema, per vedere la tv, in una sala allora adibita solo a quello. La maggior parte della gente non aveva tv in casa e la sera usciva per vedere le trasmissioni. "Lascia o raddoppia" indimenticabile o STudio Uno, Canzonissima. Il banco dei caffè sulla destra, all'entrata nello spazio allora più stretto, perchè la stanza dove ora ci sono i gelati era occupata dal negozietto di stoffe della Fernanda di Dolfetto. A Natale tombole a iosa, si giocava di "roba" e d'estate tutti fuori fino a tardi e secchiate. Da Bruno l'acqua mai, era porto franco e tutti a parte qualche scapestrato distintosi nel tempo e mai difeso, eravamo d'accordo. Poi anni sessanta inoltrati, il biliardo al posto delle seggiole e la tv nella stanza dietro. Intanto la stanza della Fernanda che chiude l'attività, diventa un'altro pezzo di bar e dietro nasce la stanza a vetri, sotto il terrazzo di Dolfo e Dino con il famoso finestrone aperto, da cui si poteva vedere giocare a biliardo dall'alto, come in un palchetto a teatro. Il Fava che dominava la bazzica sul panno verde e Bosco che faceva il biscazziere ufficiale e comandava la pariglia, finchè un giorno fu richiamato all'ordine per la sua troppa esuberanza e sparì fra le invettive. Mario Roventini, detto Bosco, livoroso e irascibile, una volta dette un colpo sui birilli, quasi a sparecchiare il castello dopo un alterco con un giocatore che non riconosceva la sua decisione. Ripresosi dalla rabbia non si trovava più il birillo rosso del 5. L'aveva piantato nel palmo della mano e badate bene i birilli hanno la testa stondata. L'uomo lo tolse fra i moccoli, lo sciacquò e lo rimise nel mezzo.Tempi eroici, da età dell'oro. E poi un tempo delle partite di calcio, la domenica alle sette la sera e quelle della nazionale, viste rigorosamente tutti insieme. E i mondiali, mitica la notte di Italia-Germania 4 a 3 nel 1970. Un paese a gridare nella notte. E la televisione che per l'occasione era stata portata fuori, sotto la tettoina del flipper.
E i bravissimi giocatori di briscola e scopa, altro che settimino (Bruno vietava l'azzardo spinto. Al masssimo un ramino o una scala. Il pocker si giocava al chiuso, dal grande Cacchione in magazzino). Tutti sapevano il quarantotto e alla fine si poteva giocare con le carte scoperte perchè tutti avevano contato. E la classe stava qui. essere bravissimi fra bravi.
Poi la Paola, figlia di Bruno, insediatasi nel bar fin da ragazzina, che apriva alle sei rigorosamente. E Bruno che chiudeva alle due di notte. Sempre! estate e inverno, una precisione... nemmeno sul lago di Ginevra. E Ubaldo di Pugnano negli ultimi anni, che accompagnava Bruno a casa dopo la chiusura, centinaia di volte. Un bar vero. col gelato sfuso di un tempo; il cono da 30 lire negli anni sessanta, i pinguini e la gazzosa nella bottiglia trasparente zigrinata che si bevava con la birra. E i bicchierotti del vino di Pontassieve che era lo stesso di Ciapino, ottimo e i boeri a strappo e le carte modiano e cambissa E poi rosso antico, stock, vecchia romagna, liquore strega, birre peroni corretti al rum da correzione del Gabbriellini.E la Maria buona e gentile al banco nei momenti di punta e Bruno il capo a mantenere l'ordine e rigido con chiunque. Non c'erano favoritismi per nessuno, nemmeno per i signori, mica s'era a Forte dei Narmi, dove ai "signori" tutto era ed è consentito, anche il dileggio. Molina metteva tutti "nel pari". E poi Gary (in onore di Gary Cooper di Mezzogiorno di Fuoco, perchè gli somigliava) il babbo di Bruno a vedere giocare a carte "dietro". E noi giovani perditempo "lì, sempre lì, lì nel mezzo" fino a notte fonda. Si andava e si tornava alla base. Il bar come casa nostra. Con i conti aperti e i pagamenti a rate. Perchè da Bruno tutti hanno bevuto sempre, anche gli squattrinati. Bastava pagare prima o poi. Nel 1988 il bar è stato venduto a Luca e Carletto (bravi e cari) e nello stesso anno io sono andato via da Molina e mi sono sposato... un caso certamente, ma la fine di un epoca. La mia sicuramente. Il mio tempo a Molina è quello della botteghina di Bruno. Ora dopo quasi 25 anni, è grande amore e memoria da tramandare. Ancora oggi quando vengo dalla Piera e vedo Bruno sulla piazza, lo saluto col rispetto di un tempo. Non si reggono trent'anni in un luogo così difficile, bazzicato da tutto e da tutti, uscendone con grande rispetto.
A Bruno é successo. Grande, come La Botteghina.
giovedì 19 luglio 2012
Sangue blu, storia "fantasticante".
I have a dream.
Tutti abbiamo sognato ad occhi aperti.
Tutti abbiamo fatto la classifica dei sogni più belli... dei desideri.
Il mio sogno più grande è una "storia fantasticante e verosimile" che ho raccontato a mia figlia un po' di anni fa e che oggi è diventata la nostra storia, tanto da perdere negli anni il confine fra fantasia e realtà.
Eccola-:" Ho ormai la certezza di avere sangue nobile nelle vene. Questa convinzione mi deriva da un sentire interiore che mi porto dentro sin da piccolo.Lo spleen del piccolo nobile.
Sono solitario nel decidere e a volte malinconicamente snob, anche se può non apparire; ma amo smisuratamente il popolo e la saggezza popolare,da cui ho imparato tutto.
I "maestri di popolo" sono stati i miei riferimenti. Quelli... "della semplicità che è difficile a farsi".
Aggiungo che oggi amare il popolo così smisuratamente bistrattato, è un sentimento nobile e snob. Per questo alimento senza sforzo la mia certezza."
Mia figlia si è convinta ed è stata incoronata mia diretta discendente; il gioco è fatto.
Siamo il Conte e la giovane Contessa.
Mia moglie Giovanna non si convince e non c'è verso di tirarla dentro questa discussione, se non per dire che io e Adele, siamo due presuntuosi visionari, quando è in bona; due scemi, quando la chiude alla svelta.
La ragione però che rafforza la mia appartenenza al rango e che ha dato certezza a un sentore che vivevo fin da piccolo, è il fatto che mia nonna Varalda (e già il nome potrebbe insinuare qualcosa); la tremendissima e insolente moglie del mite operaio della Piaggio Italo, mio nonno, figlio di contadini di Colognole; dicevo, la Varalda, colei che smusava chiunque la guardasse appena di traverso, che nessuno sognava come vicina di casa e che io redarguivo continuamente per i suoi modi bruschi ed infelici. Credo sia stata una delle poche nonne che faceva "le spie" a mio padre quanto piantavo qualche casino...; quel Soggettone lì, aveva il cognome Degli Esposti.
E suo padre si chiamava Giuseppe ed era figlio di NN, un trovatello come si usava dire un tempo.
Finita qui? mi direte. Che c'entra la nobiltà.
Invece no, perchè io ho sempre pensato e sognato che il mio bisnonno Giuseppe, marito della Corinna ed emigrato in Argentina all'inizio del secolo e mai più tornato, fosse figlio illegittimo di uno dei Conti della zona.
Il lungomonte delle ville gentilizie, Molina compresa, aveva fior di stalloni nullafacenti, dal sangue blu, che rincorrevano giovani servette procaci, nei prati delle loro belle dimore.
Giuseppe è sicuramente figlio di uno di questi "accadimenti". Svezzato pochi giorni e poi affidato all'orfanatrofio, dalla serva svergognata, che mai l'ha riconosciuto. Figurarsi il nobiluomo.
Battezzato in orfanatrofio, col nome del padre di Gesù, per rafforzarlo nell'anima. Col cognome imposto all'epoca, Degli Esposti, che era un classico dei trovatelli toscani, come Esposito lo era a Napoli. Ma col sangue blu, che è un elemento impossibile da rimuovere, un segno distintivo, tramandabile per generazioni. Decisi questi presupposti, il cerchio si è chiuso.
Così io e mia figlia "sappiamo" e ci siamo convinti di essere nobili e di questo andiamo fieri.
All'eredità ovviamente abbiamo rinunciato; sarebbe volgare monetizzare questo stato di grazia.
In fondo abbiamo o no sangue blu?
g
Tutti abbiamo sognato ad occhi aperti.
Tutti abbiamo fatto la classifica dei sogni più belli... dei desideri.
Il mio sogno più grande è una "storia fantasticante e verosimile" che ho raccontato a mia figlia un po' di anni fa e che oggi è diventata la nostra storia, tanto da perdere negli anni il confine fra fantasia e realtà.
Eccola-:" Ho ormai la certezza di avere sangue nobile nelle vene. Questa convinzione mi deriva da un sentire interiore che mi porto dentro sin da piccolo.Lo spleen del piccolo nobile.
Sono solitario nel decidere e a volte malinconicamente snob, anche se può non apparire; ma amo smisuratamente il popolo e la saggezza popolare,da cui ho imparato tutto.
I "maestri di popolo" sono stati i miei riferimenti. Quelli... "della semplicità che è difficile a farsi".
Aggiungo che oggi amare il popolo così smisuratamente bistrattato, è un sentimento nobile e snob. Per questo alimento senza sforzo la mia certezza."
Mia figlia si è convinta ed è stata incoronata mia diretta discendente; il gioco è fatto.
Siamo il Conte e la giovane Contessa.
Mia moglie Giovanna non si convince e non c'è verso di tirarla dentro questa discussione, se non per dire che io e Adele, siamo due presuntuosi visionari, quando è in bona; due scemi, quando la chiude alla svelta.
La ragione però che rafforza la mia appartenenza al rango e che ha dato certezza a un sentore che vivevo fin da piccolo, è il fatto che mia nonna Varalda (e già il nome potrebbe insinuare qualcosa); la tremendissima e insolente moglie del mite operaio della Piaggio Italo, mio nonno, figlio di contadini di Colognole; dicevo, la Varalda, colei che smusava chiunque la guardasse appena di traverso, che nessuno sognava come vicina di casa e che io redarguivo continuamente per i suoi modi bruschi ed infelici. Credo sia stata una delle poche nonne che faceva "le spie" a mio padre quanto piantavo qualche casino...; quel Soggettone lì, aveva il cognome Degli Esposti.
E suo padre si chiamava Giuseppe ed era figlio di NN, un trovatello come si usava dire un tempo.
Finita qui? mi direte. Che c'entra la nobiltà.
Invece no, perchè io ho sempre pensato e sognato che il mio bisnonno Giuseppe, marito della Corinna ed emigrato in Argentina all'inizio del secolo e mai più tornato, fosse figlio illegittimo di uno dei Conti della zona.
Il lungomonte delle ville gentilizie, Molina compresa, aveva fior di stalloni nullafacenti, dal sangue blu, che rincorrevano giovani servette procaci, nei prati delle loro belle dimore.
Giuseppe è sicuramente figlio di uno di questi "accadimenti". Svezzato pochi giorni e poi affidato all'orfanatrofio, dalla serva svergognata, che mai l'ha riconosciuto. Figurarsi il nobiluomo.
Battezzato in orfanatrofio, col nome del padre di Gesù, per rafforzarlo nell'anima. Col cognome imposto all'epoca, Degli Esposti, che era un classico dei trovatelli toscani, come Esposito lo era a Napoli. Ma col sangue blu, che è un elemento impossibile da rimuovere, un segno distintivo, tramandabile per generazioni. Decisi questi presupposti, il cerchio si è chiuso.
Così io e mia figlia "sappiamo" e ci siamo convinti di essere nobili e di questo andiamo fieri.
All'eredità ovviamente abbiamo rinunciato; sarebbe volgare monetizzare questo stato di grazia.
In fondo abbiamo o no sangue blu?
g
giovedì 12 luglio 2012
Il Tordo, un omaggio tutto personale.
Questa foto è del 1977. siamo in giro per l'Europa.
Io e Antonio Orsini, detto il Tordo.
Da quando lo conosco? Da sempre.
Antonio ha un anno più di me.
Agli inizi delle elementari, lui in terza e io in seconda, le nostre classi per pochi giorni furono accorpate, perchè la sua maestra, l'Agrimi (la mia era la Redini), fu inviata alla scuolina di Ciapino, sul poggio, dove ora abita il Pippolo, in attesa della maestra ufficiale.
Beh, in quei pochi giorni che passammo insieme in classe, occupammo lo stesso banco.
La maestra ci disse:-" Voi due non siete della stessa classe, dividetevi!"
e noi rispondemmo:-"Ma noi siamo amici!"
Ecco io e Antonio siamo amici. Punto.
L'amicizia vera non si spiega, è così. Tollera difetti e smussa casini.
Antonio Orsini detto il Tordo, soprannome storico, figlio della Nara del Burattino e di Velio, il Troio, è un "fenomeno" vivente.
Uno che ammazza i problemi tirandogli al volo. E per questo, lo invidio da una vita.
Ha una bella figlia, Chiara e una nipote uguale a lui... Ma soprattutto ha una grande moglie: Stefania (la sorella piccola del Cola). Che conosco fin da bimba e che in gioventù ho sostenuto, quando lei litigava coi genitori e si dileguava incazzata, perchè in casa,quei frettolosi, la volevano presto sposa... E Antonio (poverino) non era ancora pronto. E Stefania lo capiva così bene, che alla fine ha avuto ragione, perchè la sua sposa è diventata.
Un bel casino però accadde, quando accompagnai il ragazzo al treno per il militare (andava ad Orvieto), e la sua futura suocera, la Anna del Cola, che in quel periodo lo voleva a seggiola per forza, si parò davanti alla Mini Minor di mio padre, gridando al "futuro militare" di scendere. Lui mi disse perentorio:-"vai a diritto!( io ho sempre sostenuto che abbia detto a diritto intendendo, schiacciala; ma lui ha sempre negato, affermando che volesse dire ignorala)" Io comunque, mi fermai, scesi e la rabbonii; mentre lui stava chiuso in macchina col vetro chiuso, guardando da un'altra parte.
Oggi è un genero modello... Di quelli che tutte le suocere vorrebbero.
Andai anche alla Piaggio per dirgli che era morto Velio, suo padre, e non fu facile, ma toccò a me. La Nara mi disse-"Gabriele vai te a prendere al lavoro "il mio Antonio!" e io ubbidii, come se me l'avesse detto la mia mamma. Una volta, a scuola, per aiutarlo a fare un compito di matematica di recupero, mi sono sobbarcato una maratona fino ai Passi, da via Contessa Matilde dov'era la scuola, per farmi fare al volo il compito da Maciste che era ingegnre e fece il compito in sette minuti, tornare a scuola, passarglielo dalla finestra e vederlo subito requisire dal professore;vanificando un piano elaborato con cura la sera prima da Bruno e rischiando, se mi avessero visto una certa sospensione dalla scuola.
Ma quanto l'abbiamo raccontata questa storia!!!
Insieme abbiamo fatto diventare lo Straniero un molinese doc e ne andiamo fieri. Da ragazzi abbiamo passato tutti e tre insieme e in seguito anche col Pippolo, tante ore, che non siamo in grado di contarle.
Abbiamo fatto viaggi, foto, visto concerti e ascoltato dischi, fatto campeggi e scìato ( con lui a 15 anni ho fatto la prima settimana bianca sulle dolomiti), visto corse in macchina, rincorso Niki Lauda e Rally all'Isola d'Elba. Io gli ho rotto i coglioni con la politica da sempre e loro hanno sempre capito questo mio furore, fin da quando eravamo piccoli. Loro si sono appassionati alle moto e io li ho guardati e mi sono sempre seduto dietro. Loro guidano bene la macchina io no e li ammiro. Con loro non guido mai, salgo e non ho paura della velocità. Ora, ogni tanto si va in gommone.Non ci siamo mai persi di vista, nemmeno quando la vita ti strizza. E spesso accade... che ti strizzi.
Una sera stavo facendo un comizio a San Giuliano per la mia seconda legislatura da Sindaco, era maggio nel 1999; sotto il palco vidi Antonio e il Pippolo, che mi facevano dei cenni strani. Finii di parlare e li raggiunsi. Antonio, mi comunicò che lo Straniero era all'ospedale a Lucca per alcuni problemi. Io lasciai tutti lì, politicanti e affini e stetti con loro, intorno al letto di Claudio, tutta la sera. E mi fece bene.... e ci fece bene.
Così come la sera, che in preda a un mal di testa feroce, dopo essermi operato di menisco ( la feroce epidurale!!!), quattro o cinque anni fa, li vidi arrivare (tordo straniero e pippolo) a ortopedia di Lucca, dove lo straniero fa il fisioterapista, dopo le dieci, con un mazzo di fiori... che avevano regolarmente "grattato" dall'aiuola davanti all'ospedale. E mi fecero ridere, nonostante il dolore.
In un gruppo di amici così, il Tordo eccelle per essere uno che sa fare tutto di mecccanica ed è per questo che è richiesto a gran voce nei gruppi della ricerca universitaria, dove in tanti studiano ma nessuno sa mettere una vite. In questi trent'anni ha lavorato alla Piaggio, in Ferrovia, all'Enel di Larderello e ora appunto all'Università, all'Istituto di Fisica Nucleare. Ogni tanto va anche a Ginevra al Cern ( pensa te!!!) e ha la macchina con la targa straniera, che lo fa molto snob; a volte va addirittura in America (lo vedesse la Cinina, che era sua zia, sai quanti racconti...).
In tempi di scoperte del bosone di Higgs, ci mancherebbe che dessero il Nobel al gruppo di ricerca con cui ogni tanto lavora. Un pezzettino toccherebbe anche a lui come meccanico. Lui, appunto che al bosone gli strige le viti... che altro! Ma chi lo reggerebbe.
Ora fa anche l'orto a Ciapino, ma non si vede un pomodoro nemmeno a pregarlo.
Se avessimo bisogno di vitamine, non saranno quelle del suo orto ad aiutarci.
E' sua la grande battuta, già raccontata, di quella sera quando dalla curva del fondo del Piccino verso Ciapino, facevamo le foto al paese con la macchina sul cavalletto, da veri professionisti. Era una sera fredda e illuminata di Gennaio, era passata già mezzanotte. Io guardavo infreddolito il panorama, attratto dalle lucine del paese silenzioso, che dormiva; ero soddisfatto e meravigliato dalla bellezza che avevo davanti; e si vedeva. Lui leggendomi la felicità sul viso, mi guardo e disse- "Lele, questo paese è bellissimo, è la Parigi della Valdiserchio!" E scattò la foto...
Quando è nato "Molina mon amour", ho pensato a lui e allo stupore di quella notte.
g
mercoledì 11 luglio 2012
Intercettazioni
Questa storia è un po' vera nella cornice e un po' giocata sul filo del ricordo e del racconto fantastico.
Sono però accettate correzioni...
E'dedicata al Tonfo, chi altri?
La politica a Molina, fino alla fine degli anni Sessanta seguiva i canoni nazionali. Dal dopoguerra gli stessi partiti, più o meno. I Socialisti divisi in due o tre, i Democristiani, abbastanza forti; nella parte nord del comune di San Giuliano la DC è sempre stata tosta. Naturalmente risentiva di "Lucca la bianca" e della forza della famiglia Benotto, veneti trapiantati nel lungomonte fra Molina e Ripafratta. I Comunisti erano il primo partito, ma non forti e organizzati come in altri paesi del comune. I Liberali di Malagodi e i Repubblicani di La Malfa, pochi. I missini di Almirante, allora nostalgici dichiarati del fascismo, fuori da ogni giro. Luvisotti ne era e ne è rimasto l' emblema.
I comunisti avevano la loro sede in piazza di sopra, nel laboratorio-calzolaio di Buino. I democristiani non avevano sede ufficiale, ma il loro capo indiscusso Benotto, godeva dell'appoggio incondizionato delle strutture della chiesa dell'asilo dalle suore nella buca e delle Acli. I socialisti non avevano una sede, erano forti a Ciapino ma facevano capo ai patrignonesi, perchè lì Pierino era attivissimo e lo è stato fino a poco tempo fa.
Invecchiati Buino e il Marchetti, i comunisti avevano Tonfo, come uomo di punta tuttofare, dalle feste dell'Unità alle tessere e la famiglia Del Genovese, che aveva alle spalle una storia solidissima di antifascismo.
Buba, babbo di Eugenio e di Gigi era una leggenda. Si raccontava che al tempo del fascismo, quando imperversavano le squadracce di prepotenti, nessuno avesse mai osato avvicinarsi a casa sua, perchè lui aveva fatto sapere che cenava col pennato sulla tavola; tanto per intendersi.
Insomma a parte questi dettagli, per anni a Molina si sapeva più meno quale era l'esito delle votazioni e l'appartenenza di questo o quello, ai partiti; ma l'Italia era così. I democristiani vincevano sempre e i comunisti dicevano di aver vinto, se aumentavano dalla volta precedente. Localmente i comunisti comandavano il Comune e governavano con i socialisti; quest'ultimi invece a livello nazionale erano al governo coi democristiani. Un classico. In Toscana e nel centro Italia, i comunisti erano la maggioranza.
Il primo lampo di "altra politica" a Molina, avvenne nel 1968.
La Giovannina della Eva venne fermata alla Bussola col suo fidanzato, un pappianese di nome Loredano. Erano di Potere Operaio.
I fatti della Bussola, dove fu ferito gravemente da una pallottola il giovane Soriano Ceccanti, sarebbero passati quasi inosservati in paese, se non ci fosse stata la Giovanna di mezzo. Ma così fu, e Molina si divise e ridivise nel difendere e condannare.
Io bimbetto di 10-11 anni parteggiai subito per la Giovannina della Eva. Perchè gli volevo bene e mi piaceva; ero cresciuto con lei, anche se ero più piccolo e con il Topino, suo fratello. Mi piaceva la ragazza ,perchè era tosta, di colore e per me bella e strana.
E in paese si era cominciato a discutere degli estremisti di sinitra e di quello che stava accadendo in Italia. Poco dopo ci sarà la morte di Serantini a Pisa, la strage di piazza Fontana e quella di piazza della Loggia e anche da noi le tematiche drammatiche dell'Italia di quel periodo diventarono pane quotidiano.
Negli anni successivi un gruppo di giovani, "di seconda generazione del dopoguerra", ragazzi che erano andati tutti oltre le medie ( fu quella la prima leva che si iscrisse in blocco alle scuole superiori e incontrò la politica pisana; fino ad allora molti ragazzi e ragazze anche capaci, smettevano raggiunta la terza media), cominciò a frequentare la sezione del Pci che si era trasferita in fondo borgo. In realtà fu il referendum sul divorzio, che aveva scatenato divisioni ad avvicinare quel gruppo giovani alla sezione;più con l'obbiettivo di "darle a Fanfani", piuttosto che iscriversi al Pci. Quei giovani erano critici verso i rituali comunisti come lo si è verso un padre autoritario, ma il Tonfo che vedeva lungo, aveva permesso loro di frequentare in autonomia i locali di fondo borgo. I vecchi del partito mal sopportavano quei ragazzi iriverenti e presuntuosi, soprattutto quando a volte presi dal gusto del sarcasmo feroce, facevemo notare che il loro "era un comunismo superato", e che avrebbero creduto anche che "i coccodrilli avrebbero volato", se solo l'avesse detto Berlinguer. Ma il Tonfo grande maestro di popolo chiedeva ai suoi compagni di sopportare, sostenendo che quella generazione irriverente prima o poi si sarebbe calmata, e sarebbe stata la risorsa del futuro... e aveva ragione il grande Sfingi Benito Vittorio, classe 1938, così chiamato con due nomi propri importanti, del duce e del re, che avevano permessoa suo padre di prendere due pacchi premio.
Un comunista Tonfo che "andava lontano", altrochè.
Ebbe così ragione, che di lì poco, nel 1975, allorquando in Spagna l'allora dittatore Franco condannò un gruppo di giovani baschi alla garrota, contro il parere di tutto il mondo, quel gruppo di giovani non esitarono a scrivere un manifesto di dura condanna con tanto di firma, inaugurando la bacheca sul platano in piazza a Molina. Quello oggi tagliato.
La cosa che colpì e fece capire che i ragazzi erano "seguiti con interesse", fu che la mattina dopo aver affisso il manifesto di condanna del regime franchista, il pezzo di tazebao dove erano apposte le firma, era sparito. Adesso qualcuno in casa aveva i nomi di tutti quelli che bazzicavano "dal Tonfo" così si usava chiamare la sezione del PCI molinese.
Nel 1976 in paese nacque il "Gruppo 76", che riunì sotto una sigla quel gruppo di giovani che pochi mesi prima, aveva firmato quel manifesto famoso contro il caudillo Francisco Franco . Insieme a loro, non ancora ventenni, guidavano la pattuglia anche lo Scotino, il Bui, il Moriani e altri. Il nome non fu pensato facendo sforzi immani, il 76 era l'anno in corso. La sede, diventò la stanzetta accanto alla sezione del Pci. Per capirci quella dove negli anni sessanta il Maccioni e La Monaca i meccanici, avevano la mostra di bici.
L'accordo coi comunisti che concedevano gratis la sede era, massima libertà d'azione e rapporti chiari e leali.Nessuna censura.
Al grupppo aderirono molti ragazze e ragazzi del paese. Alcuni venivano trascinati nel mucchio per curiosità, altri per interesse passeggero. Comunque le stanze in fondo borgo erano sempre piene di gente e discorsi.
Il gruppo 76 si fece notare subito per un giornaletto "irriverente" che usciva di domenica mattina.
Gli articoli più feroci prendevano di mira i frequentatori della chiesa; per esempio le spazzine, che non pulivano casa per lustrare invece con fatica le panche della chiesa stessa o gli uomini delle processioni che si ammazzavano per portare "il trono" e a casa non spostavano una seggiola...e via così. Fino a difendere l'aborto e tutte le cause civili, di cui in quegli anni si parlava e ci si divideva. Il gruppo dette vita anche a una rete culturale insieme ai giovani di San Giuliano, Arena Metato e Pontasserchio che nell'Inverno fra il 76 e il 77, produsse una serie di eventi culturali nei nostri paesi di cui fino ad allora, non si era mai vista traccia. Di tutti questi giovani organizzati si cominciava a parlare e prestare attenzione: il Partito Comunista Sangiulianese, perchè preoccupato, che tutte quelle energie provenienti dal suo ceppo, si dileguassero nei mille rivoli dell'estremismo dell'epoca; e quelli che oggi sono definiti i moderati e allora erano per noi la destra borghese e becchettona, perchè quelle irriverenze cominciavano a pesare. A Molina era così.Ma anche a Metato uno spettacolo sull'omosessualità generò un gran putiferio nella sezione del Pci locale.
Mentre l'attività del gruppo non trovava sosta, faceva proseliti e creava inquietudine,un giorno nel bar di Bruno alla Botteghina apparve affisso sul muro un volantino, che invitava le persone ad aderire ad una associazione che si sarebbe occupata dei problemi della frazione.
Il suo nome era tutto un programma: Quosa Domani.
Tutti ad interrogarci chi fossero. Ma siccome era stato individuato"l'attacchino",si capì subito che il gruppo in questione era formato da una serie di soggetti sicuramente collocati al centro-destra del Parlamento, si direbbe oggi. Democristiani non troppo bazzicanti la chiesa paesana ma più politici, liberali benestanti e qualche missino non dichiarato; accumunati però da un unico vero obbiettivo potente, che trent'anni dopo diventerà l'ossessione di un uomo piccolo col riporto e i rialzi nelle scarpe: l'anticomunismo.
La reazione del Tonfo, fu di appiccicare nel bar un volantino provocatorio che invitava tutti a una fantomatica riunione sui problemi del paese, firmandolo, "Molina ieri, oggi, domani, sempre."
Fu un errore. Era caduto nella trappola, perchè questo permise ad un altro volantino di sbeffeggiare la nostra reazione. e avere così il riconoscimento ufficiale del paese.
Furono "fermati i lavori". Bisognava capire e non commettere errori
Intanto i manifesti di Quosa Domani uscivano puntualmente. Era stata fatta fare anche una bacheca con regolare permesso, che li distingueva dall'illegale affissione al platano, che la Sinistra di questo paese ha sempre fatto nella sua storia.
I manifesti criticavano il comune, rosso ovviamente, e i comunisti del paese.
Nessuno sapeva se Quosa Domani avesse una sede; e nessuno sapeva chi fossero, a parte l'attacchino che si prestava, un po' perchè ciucio (come dicono in alcune zone quando vogliono essere bravi con gli sciocchi e un po' esibizionista). Comunque un piovuto direbbero i vecchi del paese.
Partirono "le indagini", cercando di pedinare i sospetti e dove andassero a riunirsi. almeno in casa di chi; poi il Tonfo, una sera uscendo di casa, in fondo borgo, nel buio, vide un movimento veloce e capì, perchè riconobbe un soggetto e realizzò...
Le riunioni avvenivano in fondo borgo..... in una stanza a cui si accedeva da un cancello privato nel buio più completo. Geniale e riservato. La proprietaria del fondo, era probabile che partecipasse alle riunioni o più semplicemente, essendo in bona con l'attacchino, gliela aveva prestato.
Svelato l'arcano, non ci volle molto a scoprire,che la stanza delle riunioni di Quosa Domani, era a parete con la sezione dl Pci. magico!
Per capire: provate ad andare in fondo borgo e raggiunta la porta della vecchia sezione del Pci, ora non so cosa ci sia, mi pare un sindacato dei pensionati, ma per i più vecchi, dove un tempo c'era il meccanico, accanto al negozio di barbiere; beh, se ci siete, guardate la porta e capirete che dalla parte di là del palazzo c'è il giardino della villa. Ma a filo del giardino, cè il retro del palazzo. In fondo ci sono delle stanza buie. Uno stanzone che per un periodo è stato anche magazzino di Bruno della botteghina. Vi si si accede, varcando un cancello bianco, ora sarà stinto, dove c'è il vecchio piccolo edificio della Pibigas, ricordate? e dopo a sinistra iniziano le Covinelle. Entrati dal cancello, in fondo sulla destra c'era l'entrata. Lì, zitti zitti ,si riunivano quelli di Quosa Domani. Chissà perchè poi fossero così silenti e schivi non l'abbiamo mai capito. Che timori avessero men che meno, visto che i temi trattati erano semplici critiche (qualche volta anche giuste, e certamente nel solco del rapporto classico, fra maggioranza e opposizione) alla sinistra locale di governo. Fatto sta, che affidavano le uscite pubbliche, solo all'attacchino "piovuto", che affiggeva i comunicati in bacheca, a tarda notte, dopo che era stata fatta la riunione.
La parola d'ordine fu che "bisognava prevenirli". E così dopo aver scoperto che solo una parete, separava le due sedi, il Tonfo perse un pomeriggio a forare il muro divisorio col trapano a punta grosa e poi più fine, via via, facendo attenzione a non toccare l'intonaco dall'altra parte. Arrivo filo filo. Solo una lessola di muro era rimasta in piedi. Di qua, dalla parte dei comunisti, il buco fu tappato con un finto interruttore.I vecchi del partito non avrebbero dovuto sapere niente, e così fu.
Ora bastava attendere la prima riunione utile. Scattarono gli appostamenti e la sera fatidica arrivò. Tonfo aveva infilato nel buco, un microfono che a quei tempi era una novità. come l'aveva avuto non si è mai saputo ma certo era noto per essere un aggeggino.
Aveva poi collegato il microfono a un registratore, che messo in moto, aveva registrato alla "bona" la conversazione. Alcune frasi captate, erano bastate per individuare il tema di cui parlavano e organizzare una risposta. All'una di notte la replica era pronta. tutti attesero al buio in sezione che gli altri uscissero dalla riunione e che l'attacchino facesse la sua funzione; e dopo fu affisso il manifesto con la replica al platano.
Al mattino, quando alcuni di Quosa Domani, videro la risposta, cominciarono a sospettare che fra loro ci fosse una talpa, che riportava fuori le cose. E la fiducia tra loro cominciò a vacillare come del resto poco durò quell'effimera associazione che nessun male faceva. "Le intercettazioni" furono fatte un altro paio di volte con relativa replica, poi verificato che gli argomenti trattati non dicevano granchè e anche per non essere scoperti, l'impresa fu abbandonata. Ovviamente senza dire niente a nessuno e lasciando mille dubbi fra i nostri antagonisti ( così chiamati per convenzione).
Il giochino finì dopo aver divertito molto.Ma finì.
Del resto in quegli anni molti di noi rincorrevano "il sol dell'avvenire", e dopo un po' convenimmo che non avevamo tempo da perdere, con un gruppo di persone intente a dire male dei cassonetti dell'immondizia del comune.Cassonetti che in fin dei conti facevano schifo anche a noi.
Noi però, assaltavamo il cielo.........
g
Sono però accettate correzioni...
E'dedicata al Tonfo, chi altri?
La politica a Molina, fino alla fine degli anni Sessanta seguiva i canoni nazionali. Dal dopoguerra gli stessi partiti, più o meno. I Socialisti divisi in due o tre, i Democristiani, abbastanza forti; nella parte nord del comune di San Giuliano la DC è sempre stata tosta. Naturalmente risentiva di "Lucca la bianca" e della forza della famiglia Benotto, veneti trapiantati nel lungomonte fra Molina e Ripafratta. I Comunisti erano il primo partito, ma non forti e organizzati come in altri paesi del comune. I Liberali di Malagodi e i Repubblicani di La Malfa, pochi. I missini di Almirante, allora nostalgici dichiarati del fascismo, fuori da ogni giro. Luvisotti ne era e ne è rimasto l' emblema.
I comunisti avevano la loro sede in piazza di sopra, nel laboratorio-calzolaio di Buino. I democristiani non avevano sede ufficiale, ma il loro capo indiscusso Benotto, godeva dell'appoggio incondizionato delle strutture della chiesa dell'asilo dalle suore nella buca e delle Acli. I socialisti non avevano una sede, erano forti a Ciapino ma facevano capo ai patrignonesi, perchè lì Pierino era attivissimo e lo è stato fino a poco tempo fa.
Invecchiati Buino e il Marchetti, i comunisti avevano Tonfo, come uomo di punta tuttofare, dalle feste dell'Unità alle tessere e la famiglia Del Genovese, che aveva alle spalle una storia solidissima di antifascismo.
Buba, babbo di Eugenio e di Gigi era una leggenda. Si raccontava che al tempo del fascismo, quando imperversavano le squadracce di prepotenti, nessuno avesse mai osato avvicinarsi a casa sua, perchè lui aveva fatto sapere che cenava col pennato sulla tavola; tanto per intendersi.
Insomma a parte questi dettagli, per anni a Molina si sapeva più meno quale era l'esito delle votazioni e l'appartenenza di questo o quello, ai partiti; ma l'Italia era così. I democristiani vincevano sempre e i comunisti dicevano di aver vinto, se aumentavano dalla volta precedente. Localmente i comunisti comandavano il Comune e governavano con i socialisti; quest'ultimi invece a livello nazionale erano al governo coi democristiani. Un classico. In Toscana e nel centro Italia, i comunisti erano la maggioranza.
Il primo lampo di "altra politica" a Molina, avvenne nel 1968.
La Giovannina della Eva venne fermata alla Bussola col suo fidanzato, un pappianese di nome Loredano. Erano di Potere Operaio.
I fatti della Bussola, dove fu ferito gravemente da una pallottola il giovane Soriano Ceccanti, sarebbero passati quasi inosservati in paese, se non ci fosse stata la Giovanna di mezzo. Ma così fu, e Molina si divise e ridivise nel difendere e condannare.
Io bimbetto di 10-11 anni parteggiai subito per la Giovannina della Eva. Perchè gli volevo bene e mi piaceva; ero cresciuto con lei, anche se ero più piccolo e con il Topino, suo fratello. Mi piaceva la ragazza ,perchè era tosta, di colore e per me bella e strana.
E in paese si era cominciato a discutere degli estremisti di sinitra e di quello che stava accadendo in Italia. Poco dopo ci sarà la morte di Serantini a Pisa, la strage di piazza Fontana e quella di piazza della Loggia e anche da noi le tematiche drammatiche dell'Italia di quel periodo diventarono pane quotidiano.
Negli anni successivi un gruppo di giovani, "di seconda generazione del dopoguerra", ragazzi che erano andati tutti oltre le medie ( fu quella la prima leva che si iscrisse in blocco alle scuole superiori e incontrò la politica pisana; fino ad allora molti ragazzi e ragazze anche capaci, smettevano raggiunta la terza media), cominciò a frequentare la sezione del Pci che si era trasferita in fondo borgo. In realtà fu il referendum sul divorzio, che aveva scatenato divisioni ad avvicinare quel gruppo giovani alla sezione;più con l'obbiettivo di "darle a Fanfani", piuttosto che iscriversi al Pci. Quei giovani erano critici verso i rituali comunisti come lo si è verso un padre autoritario, ma il Tonfo che vedeva lungo, aveva permesso loro di frequentare in autonomia i locali di fondo borgo. I vecchi del partito mal sopportavano quei ragazzi iriverenti e presuntuosi, soprattutto quando a volte presi dal gusto del sarcasmo feroce, facevemo notare che il loro "era un comunismo superato", e che avrebbero creduto anche che "i coccodrilli avrebbero volato", se solo l'avesse detto Berlinguer. Ma il Tonfo grande maestro di popolo chiedeva ai suoi compagni di sopportare, sostenendo che quella generazione irriverente prima o poi si sarebbe calmata, e sarebbe stata la risorsa del futuro... e aveva ragione il grande Sfingi Benito Vittorio, classe 1938, così chiamato con due nomi propri importanti, del duce e del re, che avevano permessoa suo padre di prendere due pacchi premio.
Un comunista Tonfo che "andava lontano", altrochè.
Ebbe così ragione, che di lì poco, nel 1975, allorquando in Spagna l'allora dittatore Franco condannò un gruppo di giovani baschi alla garrota, contro il parere di tutto il mondo, quel gruppo di giovani non esitarono a scrivere un manifesto di dura condanna con tanto di firma, inaugurando la bacheca sul platano in piazza a Molina. Quello oggi tagliato.
La cosa che colpì e fece capire che i ragazzi erano "seguiti con interesse", fu che la mattina dopo aver affisso il manifesto di condanna del regime franchista, il pezzo di tazebao dove erano apposte le firma, era sparito. Adesso qualcuno in casa aveva i nomi di tutti quelli che bazzicavano "dal Tonfo" così si usava chiamare la sezione del PCI molinese.
Nel 1976 in paese nacque il "Gruppo 76", che riunì sotto una sigla quel gruppo di giovani che pochi mesi prima, aveva firmato quel manifesto famoso contro il caudillo Francisco Franco . Insieme a loro, non ancora ventenni, guidavano la pattuglia anche lo Scotino, il Bui, il Moriani e altri. Il nome non fu pensato facendo sforzi immani, il 76 era l'anno in corso. La sede, diventò la stanzetta accanto alla sezione del Pci. Per capirci quella dove negli anni sessanta il Maccioni e La Monaca i meccanici, avevano la mostra di bici.
L'accordo coi comunisti che concedevano gratis la sede era, massima libertà d'azione e rapporti chiari e leali.Nessuna censura.
Al grupppo aderirono molti ragazze e ragazzi del paese. Alcuni venivano trascinati nel mucchio per curiosità, altri per interesse passeggero. Comunque le stanze in fondo borgo erano sempre piene di gente e discorsi.
Il gruppo 76 si fece notare subito per un giornaletto "irriverente" che usciva di domenica mattina.
Gli articoli più feroci prendevano di mira i frequentatori della chiesa; per esempio le spazzine, che non pulivano casa per lustrare invece con fatica le panche della chiesa stessa o gli uomini delle processioni che si ammazzavano per portare "il trono" e a casa non spostavano una seggiola...e via così. Fino a difendere l'aborto e tutte le cause civili, di cui in quegli anni si parlava e ci si divideva. Il gruppo dette vita anche a una rete culturale insieme ai giovani di San Giuliano, Arena Metato e Pontasserchio che nell'Inverno fra il 76 e il 77, produsse una serie di eventi culturali nei nostri paesi di cui fino ad allora, non si era mai vista traccia. Di tutti questi giovani organizzati si cominciava a parlare e prestare attenzione: il Partito Comunista Sangiulianese, perchè preoccupato, che tutte quelle energie provenienti dal suo ceppo, si dileguassero nei mille rivoli dell'estremismo dell'epoca; e quelli che oggi sono definiti i moderati e allora erano per noi la destra borghese e becchettona, perchè quelle irriverenze cominciavano a pesare. A Molina era così.Ma anche a Metato uno spettacolo sull'omosessualità generò un gran putiferio nella sezione del Pci locale.
Mentre l'attività del gruppo non trovava sosta, faceva proseliti e creava inquietudine,un giorno nel bar di Bruno alla Botteghina apparve affisso sul muro un volantino, che invitava le persone ad aderire ad una associazione che si sarebbe occupata dei problemi della frazione.
Il suo nome era tutto un programma: Quosa Domani.
Tutti ad interrogarci chi fossero. Ma siccome era stato individuato"l'attacchino",si capì subito che il gruppo in questione era formato da una serie di soggetti sicuramente collocati al centro-destra del Parlamento, si direbbe oggi. Democristiani non troppo bazzicanti la chiesa paesana ma più politici, liberali benestanti e qualche missino non dichiarato; accumunati però da un unico vero obbiettivo potente, che trent'anni dopo diventerà l'ossessione di un uomo piccolo col riporto e i rialzi nelle scarpe: l'anticomunismo.
La reazione del Tonfo, fu di appiccicare nel bar un volantino provocatorio che invitava tutti a una fantomatica riunione sui problemi del paese, firmandolo, "Molina ieri, oggi, domani, sempre."
Fu un errore. Era caduto nella trappola, perchè questo permise ad un altro volantino di sbeffeggiare la nostra reazione. e avere così il riconoscimento ufficiale del paese.
Furono "fermati i lavori". Bisognava capire e non commettere errori
Intanto i manifesti di Quosa Domani uscivano puntualmente. Era stata fatta fare anche una bacheca con regolare permesso, che li distingueva dall'illegale affissione al platano, che la Sinistra di questo paese ha sempre fatto nella sua storia.
I manifesti criticavano il comune, rosso ovviamente, e i comunisti del paese.
Nessuno sapeva se Quosa Domani avesse una sede; e nessuno sapeva chi fossero, a parte l'attacchino che si prestava, un po' perchè ciucio (come dicono in alcune zone quando vogliono essere bravi con gli sciocchi e un po' esibizionista). Comunque un piovuto direbbero i vecchi del paese.
Partirono "le indagini", cercando di pedinare i sospetti e dove andassero a riunirsi. almeno in casa di chi; poi il Tonfo, una sera uscendo di casa, in fondo borgo, nel buio, vide un movimento veloce e capì, perchè riconobbe un soggetto e realizzò...
Le riunioni avvenivano in fondo borgo..... in una stanza a cui si accedeva da un cancello privato nel buio più completo. Geniale e riservato. La proprietaria del fondo, era probabile che partecipasse alle riunioni o più semplicemente, essendo in bona con l'attacchino, gliela aveva prestato.
Svelato l'arcano, non ci volle molto a scoprire,che la stanza delle riunioni di Quosa Domani, era a parete con la sezione dl Pci. magico!
Per capire: provate ad andare in fondo borgo e raggiunta la porta della vecchia sezione del Pci, ora non so cosa ci sia, mi pare un sindacato dei pensionati, ma per i più vecchi, dove un tempo c'era il meccanico, accanto al negozio di barbiere; beh, se ci siete, guardate la porta e capirete che dalla parte di là del palazzo c'è il giardino della villa. Ma a filo del giardino, cè il retro del palazzo. In fondo ci sono delle stanza buie. Uno stanzone che per un periodo è stato anche magazzino di Bruno della botteghina. Vi si si accede, varcando un cancello bianco, ora sarà stinto, dove c'è il vecchio piccolo edificio della Pibigas, ricordate? e dopo a sinistra iniziano le Covinelle. Entrati dal cancello, in fondo sulla destra c'era l'entrata. Lì, zitti zitti ,si riunivano quelli di Quosa Domani. Chissà perchè poi fossero così silenti e schivi non l'abbiamo mai capito. Che timori avessero men che meno, visto che i temi trattati erano semplici critiche (qualche volta anche giuste, e certamente nel solco del rapporto classico, fra maggioranza e opposizione) alla sinistra locale di governo. Fatto sta, che affidavano le uscite pubbliche, solo all'attacchino "piovuto", che affiggeva i comunicati in bacheca, a tarda notte, dopo che era stata fatta la riunione.
La parola d'ordine fu che "bisognava prevenirli". E così dopo aver scoperto che solo una parete, separava le due sedi, il Tonfo perse un pomeriggio a forare il muro divisorio col trapano a punta grosa e poi più fine, via via, facendo attenzione a non toccare l'intonaco dall'altra parte. Arrivo filo filo. Solo una lessola di muro era rimasta in piedi. Di qua, dalla parte dei comunisti, il buco fu tappato con un finto interruttore.I vecchi del partito non avrebbero dovuto sapere niente, e così fu.
Ora bastava attendere la prima riunione utile. Scattarono gli appostamenti e la sera fatidica arrivò. Tonfo aveva infilato nel buco, un microfono che a quei tempi era una novità. come l'aveva avuto non si è mai saputo ma certo era noto per essere un aggeggino.
Aveva poi collegato il microfono a un registratore, che messo in moto, aveva registrato alla "bona" la conversazione. Alcune frasi captate, erano bastate per individuare il tema di cui parlavano e organizzare una risposta. All'una di notte la replica era pronta. tutti attesero al buio in sezione che gli altri uscissero dalla riunione e che l'attacchino facesse la sua funzione; e dopo fu affisso il manifesto con la replica al platano.
Al mattino, quando alcuni di Quosa Domani, videro la risposta, cominciarono a sospettare che fra loro ci fosse una talpa, che riportava fuori le cose. E la fiducia tra loro cominciò a vacillare come del resto poco durò quell'effimera associazione che nessun male faceva. "Le intercettazioni" furono fatte un altro paio di volte con relativa replica, poi verificato che gli argomenti trattati non dicevano granchè e anche per non essere scoperti, l'impresa fu abbandonata. Ovviamente senza dire niente a nessuno e lasciando mille dubbi fra i nostri antagonisti ( così chiamati per convenzione).
Il giochino finì dopo aver divertito molto.Ma finì.
Del resto in quegli anni molti di noi rincorrevano "il sol dell'avvenire", e dopo un po' convenimmo che non avevamo tempo da perdere, con un gruppo di persone intente a dire male dei cassonetti dell'immondizia del comune.Cassonetti che in fin dei conti facevano schifo anche a noi.
Noi però, assaltavamo il cielo.........
g
domenica 8 luglio 2012
Il Tempestini
L'ufficio della Posta un tempo era in borgo. Più o meno davanti alla distilleria del Corti e di Giannone e a fianco della pettinatrice, la Franca di Galiano . Poi la Posta, fu trasferita sulla via Nova. L'Ufficiale di Posta, così si chiamava all'epoca il capo ufficio, era il Tempestini, personaggio verace e colorito. In seguito Lucia sua figlia, lo sostituirà a capo di "tutte le comunicazioni del paese" che non erano altro che lettere e cartoline. Rari i telegrammi. Pochi i telefoni nelle case e il posto pubblico dall'Angiolina. Quando ti chiamavano al telefono, non era per farti gli auguri, erano solo casini. Ma torniamo alla nostra storiella Il Tempestini era sordo come una campana, urlava come un pazzo anche durante il lavoro che lo sentivano di piazza. Tutte le mattine si presentava al bar da Caccole, prima di aprire la posta, per bere il caffè e sbirciare il giornale. Abitava nel palazzo in via don Sturzo verso il Fosso, dove stavano anche, il Turco, Romeo L'Andreotti, Il Carrara, Umbe il Ghelardi e Anacleto con lo Scienziato. Con lui e la moglie, abitavano la figlia Lucia, sposata in vecchiaia con un boscaiolo rubizzo e il figlio dottore, che lavorava alla Camera di Commercio e raggiungeva il lavoro a Pisa, tutti i giorni, rigorosamente con la Lazzi; quest'ultimo era noto per la sua misantropia e si diceva passeggiasse a notte fonda per il paese, certo di non incontrare nessuno.
Lucia invece è passata alla storia per essersi appassionata a un pupazzo chiamato Torquatino.
Una famiglia eccentrica .
Tempestini ogni mattina entrando nel bar diceva gridando:-" Buongiorno bella signora!"- rivolgendosi alla Maria, la sorella di Caccole.
La Maria, donna di grande spirito e birbante, sapendo della sordità del Tempestini rispondeva sempre allo stesso modo, sorridente e con voce stentorea-"Buongiorno a lei, signor merda!" E gli preparava il caffè. Tempestini lo beveva, pagava,lasciava il giornale aperto sul tavolino e salutava; avviandosi ad aprire la Posta, felice per aver fatto il galante con una bella signora procace, quale era la Maria al tempo.Così tutti i giorni.
Una mattina, dopo un po' di anni che la storia andava avanti, Tempestini entra nel bar....
"Buongiorno bella signora, mi fa un caffè!"
"Buongiorno a lei signor merda!"risponde, come da copione, la Maria sorridendo.
Tempestini si gira verso il bancone, alza gli occhi dalla Nazione e rosso in viso dice:"Cara bella signora si vergogni, mi sembrava un po' lungo quel "buongiorno". Per tutti questi anni ci ha aggiunto "signor merda"...."
E la Maria di Caccole quella mattina, mortificata (si fa per dire), scoprì che avevano inventato gli apparecchi acustici Amplifon e che il Tempestini era stato uno dei primi acquirenti.
g
Lucia invece è passata alla storia per essersi appassionata a un pupazzo chiamato Torquatino.
Una famiglia eccentrica .
Tempestini ogni mattina entrando nel bar diceva gridando:-" Buongiorno bella signora!"- rivolgendosi alla Maria, la sorella di Caccole.
La Maria, donna di grande spirito e birbante, sapendo della sordità del Tempestini rispondeva sempre allo stesso modo, sorridente e con voce stentorea-"Buongiorno a lei, signor merda!" E gli preparava il caffè. Tempestini lo beveva, pagava,lasciava il giornale aperto sul tavolino e salutava; avviandosi ad aprire la Posta, felice per aver fatto il galante con una bella signora procace, quale era la Maria al tempo.Così tutti i giorni.
Una mattina, dopo un po' di anni che la storia andava avanti, Tempestini entra nel bar....
"Buongiorno bella signora, mi fa un caffè!"
"Buongiorno a lei signor merda!"risponde, come da copione, la Maria sorridendo.
Tempestini si gira verso il bancone, alza gli occhi dalla Nazione e rosso in viso dice:"Cara bella signora si vergogni, mi sembrava un po' lungo quel "buongiorno". Per tutti questi anni ci ha aggiunto "signor merda"...."
E la Maria di Caccole quella mattina, mortificata (si fa per dire), scoprì che avevano inventato gli apparecchi acustici Amplifon e che il Tempestini era stato uno dei primi acquirenti.
g
sabato 7 luglio 2012
Una formazione
Beppe Paolicchi, Il Toro fu Morando, mi ha mandato una formazione storica di soprannomi tutti con la B pensata sotto la pergolina tanti anni fa.
Bela
Baleno
Bio
Buo
Bao
Beo
Bocco
Brandino
Bambagione
Brilli
Bambà
Io ne conosco nove su undici.
Gli ultimi due mi sfuggono.
Provateci voi.
g
Bela
Baleno
Bio
Buo
Bao
Beo
Bocco
Brandino
Bambagione
Brilli
Bambà
Io ne conosco nove su undici.
Gli ultimi due mi sfuggono.
Provateci voi.
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mercoledì 4 luglio 2012
Il Brenda, un omaggio.
Luglio 1980
-"Simone o dove vai a quest'ora?"- disse il suo amico L. incredulo nel vederlo alzato poco prima delle cinque.
S. per farsi notare aveva svegliato l'amico, pestandogli la mano.
L. dormiva sdraiato fuori a poppa, sotto il tendalino di una barca che li aveva ospitati per la notte, nel porto di Capraia.
Lui lo guardò sorridendo. Aveva già una sigaretta in bocca e per mano una ragazzotta livornese che aveva dormito con lui sotto coperta.
"A vedere l'alba, Lele..."E si avviò verso la passarella della barca per scendere.
"Un poeta, è sempre stato un poeta." pensò L. sorridendo.
Fu quella mattina infatti che S.di ritorno dallo spettacolo dell'aurora, con la ragazzotta per mano, inventò la rima:- "Sono il Brenda non c'è donna che tenga!"; rimasta nella storia di Molina.
Poi è diventato uno show man di razza.
Eccolo mentre canta alla cena del circolo il 30 giugno 2012.
-"Simone o dove vai a quest'ora?"- disse il suo amico L. incredulo nel vederlo alzato poco prima delle cinque.
S. per farsi notare aveva svegliato l'amico, pestandogli la mano.
L. dormiva sdraiato fuori a poppa, sotto il tendalino di una barca che li aveva ospitati per la notte, nel porto di Capraia.
Lui lo guardò sorridendo. Aveva già una sigaretta in bocca e per mano una ragazzotta livornese che aveva dormito con lui sotto coperta.
"A vedere l'alba, Lele..."E si avviò verso la passarella della barca per scendere.
"Un poeta, è sempre stato un poeta." pensò L. sorridendo.
Fu quella mattina infatti che S.di ritorno dallo spettacolo dell'aurora, con la ragazzotta per mano, inventò la rima:- "Sono il Brenda non c'è donna che tenga!"; rimasta nella storia di Molina.
Poi è diventato uno show man di razza.
Eccolo mentre canta alla cena del circolo il 30 giugno 2012.
lunedì 2 luglio 2012
Romeo
Festa di Piazza
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